Benché la storia di Catanzaro non può vantare, come quella delle altre città calabresi origini antiche (magno-greche o enotrio-brettie), bisogna cominciare a guardare il territorio nella sua unitarietà, cosa che gli amministratori del passato con scelte miopi non hanno compiuto, utilizzare una visuale a 360 gradi del territorio, andare oltre i confini cittadini/campanilistici che sono relativamente recenti. Senza l’apporto del suo hinterland Catanzaro, nel bene e nel male, non sarebbe mai stata la città che è diventata. Questo a partire dalle sue origini medioevali e almeno fino al raggiungimento della demanialità, dopo la rivolta capeggiata dal conte Antonio Centelles e dalla moglie la marchesa Enrichetta Ruffo. Grazie alla raggiunta e saggiamente conservata demanialità, diversamente da altre città calabresi, Catanzaro è diventata sede dei principali Uffici regi della Calabria Ulteriore Seconda, si è avvalsa della Silva Brutia per il legname, delle aree che degradano tra i fiumi Alli, Corace e Amato e delle aree pianeggianti per il grano e per gli altri rifornimenti agricoli necessari a una popolazione in forte crescita.
Poiché la storia, come tutte le discipline scientifiche, è sottoposta a continue revisioni (cosa diversa dal fantomatico revisionismo di alcune correnti storiche), nel corso di recenti scavi di necessità in città in occasione di lavori urbani sono venuti alla luce frammenti protostorici e altomedievali, non ancora rilevanti per poter avanzare ipotesi conclusive. Lo stesso è avvenuto nel corso dei lavori che hanno interessato l’area che unitariamente possiamo chiamare “Germaneto” (cittadella regionale, metropolitana di superficie) con il rinvenimento di strutture murarie che hanno restituito materiale di V secolo a.C. e che gli archeologi inseriscono all’interno della choria di Skylletion, senza dimenticare gli insediamenti brettii di Tiriolo e Gagliano. Ad un periodo più recente, bizantino (VI secolo), vanno invece ascritti i reperti tombali venuti alla luce nella chiesa di S. Maria di Zarapotamo. Questi rinvenimenti di reperti, sia antichi che medievali, aprono nuovi scenari che dovrebbero portare a individuare all’interno e all’esterno della vecchia cinta muraria quei tasselli che ancora mancano per delineare un’eventuale antropizzazione del territorio prima di quanto ipotizzato nelle fonti.
Senza eccessivi voli pindarici è, comunque, dalle fonti che bisogna partire. Ed è proprio dalle fonti che inizia il percorso ricostruttivo dello studioso Domenico Montuoro nel suo ultimo lavoro dedicato alla storia della città: Catanzaro. Dalle origini alla monarchia normanno-sveva. La contea dai Loritello ai Ruffo, Rubbettino Editore.
Il primo autore a nominare i castra di Catuanzarium e Roccam fu il cronista normanno Goffredo Malaterra nel De rebus gestis, dedicata a Roberto il Guiscardo e Ruggero, scritta verso la fine dell’XI secolo (1090-1098). Una coeva menzione è nel privilegio concesso dal “Granconte” Ruggero e dalla moglie Adelasia del Vasto al nuovo vescovo latino di Squillace Giovanni de Nichiforo, succeduto alla morte dell’ultimo vescovo greco Teodoro Mesimerios. Nel cosiddetto Libro di re Ruggero, compilato tra il 1139 e il 1154, da Mohammad al-Idrisi (Edrisi), su incarico di Ruggero compare la denominazione «qaṭanṣar» (Catanzaro) che il geografo arabo indica come «rocca di bella costruzione». Si tratta, appunto, di semplici citazioni, per cominciare ad avere notizie più dettagliate bisognerà attendere il Cinque-Seicento con Gabriele Barrio, Girolamo Marafioti, Paolo Gualtieri, Ferdinando Ughelli, ecc.
Al Gualtieri e, soprattutto, all’Ughelli si devono le maggiori notizie sulla fondazione urbana e sulla vita religiosa della città, anche se la pubblicazione della Chronica Trium Tabernarum fin dall’inizio si è scontrata con il superficiale giudizio di fabulas elegantes. Le opere a stampa di Luise Gariano, Vincenzo D’Amato, Domenico Marincola Pistoia, ecc., perché disponibili in loco sono state giudicate e utilizzate in maniera più confacente dai contemporanei e dai posteri. La collazione dei codici superstiti della Chronica, con la traduzione del testo in italiano, ha finalmente condotto lo stato delle ricerche a un punto più avanzato, inserendo la fondazione della città all’interno della ristrutturazione territoriale (dopo il 1040) voluta dall’impero bizantino per cercare di superare la crisi già attraversata con la creazione dei ducati Longobardi e, soprattutto, dalle continue razzie saracene. Il Gariano, il D’Amato, il Marincola Pistoia, ecc., forniscono sic et simpliciter delle date (12 aprile 793 d.C.; 804; 868) senza supportarle però di nessun riferimento a eventi generalizzati.
I Normanni intorno al 1059, come narra il Malaterra, conquistarono gran parte della Calabria che si presentava ancora a macchia di leopardo, ma è nel 1072, durante il conflitto che vide contrapposti Roberto il Guiscardo e suo nipote Abailardo, fortificatosi a Santa Severina, che i centri urbani di Catanzaro e Rocca furono concessi a Ugo Falloc, cui successero il figlio Mihera e poi il nipote Adamo. Quest’ultimo, ne fu spodestato nel 1088 quando, nella lotta tra i figli del Guiscardo, Ruggero Borsa e Boemondo di Taranto, si alleò con quest’ultimo e sconfitto abbandonò i suoi possedimenti che furono concessi al conte Rodolfo di Loritello e alla moglie Berta di Loritello. Al conte Goffredo di Loritello, succeduto al padre tra il 1099-1111, va ascritto il merito di aver fatto ulteriormente crescere Catanzaro ed elevarlo al ruolo di civitas, con il ripristino con privilegio di papa Callisto II, 14 gennaio 1121, della vetusta sede episcopale di Trischines/Trium Tabernarum trasferita nel successivo mese di dicembre a Catanzaro. L’ultima rappresentante della famiglia Loritello è la famosa contessa Clemenza di Catanzaro, promessa in sposa a Matteo Bonello, capo della rivolta contro re Guglielmo I il Malo e che dopo la morte del sovrano “fu data” in moglie a Ugo Lupino. Con gli Svevi, dal punto di vista feudale la vita cittadina conobbe dei momenti di instabilità, anche se proprio nel XIII secolo si cominciano a cogliere un certo sviluppo ed una vivacità che nei secoli successivi la porterà a diventare uno dei centri più rilevanti dell’arte della seta.
In questo periodo nella titolarità della contea di Catanzaro si avvicendarono: Riccardo Fallucca, Anselmo de Justinge e Gherard von Solm. L’ultimo conte di Catanzaro di età sveva, ampiamente trattato nel volume, è Pietro de Calabria. Il capitolo conclusivo si occupa delle vicende economiche, sociali e religiose della città ricostruite sulla base delle fonti disponibili nei testi e negli autori di cui sopra; dei privilegi pubblicati nel Syllabus Graecarum membranarum di Francisco Trinchera, che contenente 12 atti privati in lingua greca, emessi a Catanzaro dal 1193/1194 al 1303, e sull’imponente opera di Padre Benedetto Tromby sull’ordine cartusiano e sui monasteri di S. Maria della Torre e di S. Stefano del Bosco.
Una lettura impegnativa ma essenziale per quanti vogliono conoscere le origini e lo sviluppo di un chorion (villaggio) che, in un intervallo tutto sommato breve, le fonti definiscono prima castrum e, infine, civitas.