Da “Domenica” del Sole 24 Ore del 29 dicembre
Quello che colpisce leggendo il volume di saggi Nella terra estrema di Giovanni Russo è la precisione e la qualità della scrittura, eccellente unione di etica ed estetica. Nato a Salerno nel1925, scrittore e giornalista (prima al «Mondo» di Mario Pannunzio e di Ennio Flaiano poi, e ancora oggi, al «Corriere della Sera»), Russo ha raccolto nel libro saggi e articoli di giornale che vanno da11949 al 2009, sessant’anni di inchieste, approfondimenti, riflessioni critiche sulla Calabria e sul Mezzogiorno. Il primo libro di Russo fu Baroni e contadini, pubblicato nel 1955 da Laterza nella collana «Libri del tempo», con il quale vinse il premio Viareggio opera prima. Fu un esordio importante e fortunato; il libro resta fondamentale negli studi militanti sul Sud del nostro Paese e dell’Europa, come l’autore ha sempre cercato di collocare geograficamente e storicamente il problema. A Baroni e contadini sono seguiti parecchi altri volumi, tra cui L’Italia dei poveri (1958), Terremoto (1981, con Corrado Stajano), I nipotini di Lombroso. Lettera aperta ai settentrionali (1992), il trittico dedicato a Ennio Flaiano e alla dolce vita romana (Flaianite, 1990; Oh Flaiano!, 2001; Con Flaiano e Fellini a Via Veneto, 2006), i libri su Carlo Levi (Lettera a Carlo Levi, 2001, e Carlo Levi segreto, 2011), la raccolta di racconti Le olive verdi (2001). Russo ha costruito la propria biografia esistenziale e letteraria su due luoghi, Roma e la Calabria. Come il maestro a cui è idealmente dedicato questo libro, Corrado Alvaro, anche se per Alvaro la direzione è stata opposta, dall’Aspromonte a Roma, in un dialogo ininterrotto tra la propria terra d’origine e la capitale. L’ultimo saggio del volume si intitola La Calabria di Corrado Alvaro e ripercorre le principali tappe artistiche di questo scrittore la cui fortuna, scrive Russo, «sembra oggi appannata, come se non fosse uno dei nostri maggiori scrittori del Novecento».
Ma tutto il libro è un invito a riprendere in considerazione la questione meridionale e in particolare quella calabrese, come se il tempo e l’evoluzione politica e culturale degli ultimi decenni li avesse di fatto marginalizzati. Del Sud oggi si parla soprattutto per le emergenze ma è come se non ci fosse più un grande progetto italiano ed europeo sul Mezzogiorno, come se si fosse alzata bandiera bianca e ci fosse stato un ritiro graduale della politica e dell’economia, un sostanziale abbandono e una graduale resa alla sconfitta, con pochi vincitori e molti vinti. La domanda di fondo che apre e costituisce il tessuto di tutto il volume è infatti questa: «Esiste ancora una questione meridionale?». Russo è convinto che esista, drammatica, nei fatti ma che non sia più così presente nelle coscienze, nelle opere e negli obiettivi del paese.
Come Baroni e contadini del 1955 anche Nella terra estrema del 2013 è un libro di impegno morale e civile. Vi sono pagine di rammarico e di intensa turbata adesione allo stato attuale delle cose. Secondo Russo quello che manca oggi è prima di tutto «un’idea dell’Italia» e, direttamente collegata, «l’idea di un Sud come propaggine moderna dell’Europa nel Mediterraneo»; il «destino del Mezzogiorno è l’Europa, ma esige un’alleanza come quella che si verificò nel secondo dopoguerra tra le parti più avanzate e moderne della classe dirigente del Nord e di quella meridionale».
Il libro consente anche di rileggere momenti e pezzi di storia del nostro Paese attraverso le inchieste sul campo condotte da Russo negli anni Quaranta e Cinquanta, il passaggio dal latifondo ad altri tipi di proprietà e lavorazioni agricole, le trasformazioni sociali e antropologiche degli anni seguenti. Accanto al racconto e all’analisi di alcuni episodi cruciali di rivolta (come il contrasto sul capoluogo di regione sfociato nella ribellione violenta di Reggio Calabria nel 1970-1971); allo studio sulle «radici della nuova mafia» e sulla crescente penetrazione criminale e affaristica, tentacolare, della ‘ndrangheta; alla preoccupazione per la tutela e la promozione del paesaggio, rievocato nella sua straordinaria bellezza con pagine di numerosi incantati viaggiatori del Grand Tour (da Goethe a Norman Douglas e Edward Lear).
La lucidità e il rigore della descrizione e della interpretazione sociale e politica si declinano in una scrittura esemplare, di taglio e ascendenza illuministica. Russo racconta fatti, persone, luoghi, si appoggia alla concretezza delle cose e degli incontri; è un giornalismo camminato, vissuto passo per passo sul territorio. Taccuino in mano egli si inoltra per strade e campi, in paesi sperduti e nelle città in ascesa, entra nelle case e nei luoghi di lavoro, di discussione politica, di ritrovo. È la scrittura insieme sobria e accurata, informativa e coinvolgente, dell’inviato, che ha regalato testi notevoli alla nostra cultura e letteratura, basti pensare a Luigi Barzini, Paolo Monelli, Goffredo Parise. Nella documentata e partecipe introduzione Vito Teti parla di saggi dal «forte valore letterario e documentario» e definisce quello di Russo «un meridionalismo laico, concreto, pratico, carico di passione e di entusiasmo. Il suo è un riformismo illuminato, senza estremismi nelle analisi e nelle proposte,ma senza cedimenti e senza retoriche».
Di Gino Ruozzi
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