Si muove con il girello, le gambe sono incerte, ma la testa sempre quella è. Camillo Ruini (Sassuolo, 19 febbraio 1931) compie novant’anni.
Cardinal Ruini, qual è il suo primo ricordo privato?
«Un prato, una palla, un filo spinato su cui la palla andò a finire; a Piandelagotti, sull’Appennino modenese, dove ero in villeggiatura con mia madre Iolanda. Avevo due anni e mezzo».
Qual è invece il suo primo ricordo pubblico?
«La guerra d’Etiopia. Dichiarata nel 1935, quando avevo quattro anni e mezzo. Abissinia, Negus… nomi che restano impressi».
Come ricorda la figura di Mussolini?
«Mussolini e il fascismo non mi piacevano; specialmente da quando l’Italia entrò in guerra. Dicevo ai miei compagni di scuola che l’avremmo perduta, e per questo un dirigente fascista di Sassuolo si lamentò con mio padre Francesco, che era favorevole al regime».
Suo padre la rimproverò?
«Mi raccomandò di essere più prudente, ma non mi rimproverò. Aveva anche lui i suoi dubbi, aiutò gli ebrei che conosceva a mettersi in salvo dalle leggi razziali».
Come viveste, lei e la sua famiglia, durante la guerra civile?
«È stato il periodo peggiore. Da entrambe le parti si sono compiuti atti di inaudita crudeltà e ferocia. Per grazia di Dio, la mia famiglia è stata risparmiata, probabilmente perché mio padre era un medico molto stimato e generoso, che curava gratuitamente parecchi poveri. In quel periodo si è prodigato per curare i feriti delle due fazioni».
Lei si è mai innamorato o fidanzato?
«Fidanzato mai. Sono stato attratto fortemente da alcune donne, ma ho sempre cercato di resistere e, pur soffrendo, ci sono riuscito, con l’aiuto decisivo del Signore».
Attratto prima o dopo essere diventato sacerdote?
«Anche dopo. L’attrazione per le donne è inestirpabile nell’uomo e di per sé non è affatto un peccato».
Quando e perché decise di farsi prete?
«Ho deciso nell’ultimo anno di liceo, in modo molto rapido, pensando che mettermi al servizio di Dio fosse la cosa migliore».
È vero che i suoi genitori erano contrari?
«Erano profondamente contrari. Per loro fu un grande dolore. Ma non posero veti, anche se avrebbero potuto, dato che ero minorenne. Poi, vedendomi felice, furono felici anche loro».
Come ricorda Pio XII?
«Pio dodicesimo è stato il Papa della mia giovinezza e del mio sacerdozio. L’ho ammirato moltissimo, e l’ho difeso con tutte le mie forze dagli attacchi della sinistra politica e anche dai malumori interni alla Chiesa, che ho scoperto con sorpresa quando sono entrato in seminario a Roma».
È vero però che lei è stato un giovane prete «di sinistra»?
«Non direi proprio. È vero che alcuni lo pensavano, perché ero aperto alle nuove idee e al pensiero critico. In effetti è diffusa la convinzione che questi atteggiamenti possano ritrovarsi solo a sinistra».
Come visse il Concilio?
«Con gioia ed entusiasmo. E ho lavorato per farlo conoscere, invitando a Reggio Emilia alcuni protagonisti dei dibattiti conciliari».
L’esito del Concilio è stato tradito?
«No. Nel complesso il suo esito non è stato tradito, e viene progressivamente assimilato; anche se molto lavoro rimane da compiere. Tradiscono invece il Concilio sia i tradizionalisti, sia coloro per i quali il Concilio rappresenterebbe una novità radicale rispetto alla precedente tradizione della Chiesa».
Come ricorda il primo incontro con Giovanni Paolo II?
«Era l’autunno del 1984. L’invito a cena del Papa mi giunse del tutto inaspettato. Giovanni Paolo II mi rivolse tante domande; risposi con una franchezza che lui apprezzò molto. Da allora i nostri rapporti sono diventati sempre più intensi».
Come lo ricorda come persona?
«Misericordioso: perdonava tutti, anche quelli che gli facevano cattiverie. Grande senso dell’umorismo. Intelligenza sbalorditiva».
Ad esempio?
«In qualsiasi Paese andassimo, parlava la lingua: francese, spagnolo, portoghese, inglese, slovacco… Con Ratzinger parlava in tedesco. In Ucraina parlò fluentemente ucraino. Finalmente in Ungheria scoprimmo che pure lui non parlava il magiaro. Leggeva due libri contemporaneamente».
Come si fa a leggere due libri contemporaneamente?
«Leggeva quello difficile e si faceva leggere ad alta voce quello più facile, magari un classico della letteratura».
Di sinistra era considerato il cardinal Martini.
«Lo era, anche psicologicamente. L’ho sempre stimato molto: grande intellettuale, con grandi capacità di governo. Aveva un rapporto dialettico con Giovanni Paolo II, che però l’aveva voluto a Milano».
Lei è stato il presidente dei vescovi italiani per sedici anni. Che bilancio fa? C’è qualcosa che non rifarebbe?
«Il bilancio non spetta a me. Posso dire che ricordo quegli anni con grande piacere e gratitudine al Signore per i risultati ottenuti. Non cambierei la direzione di marcia che del resto, prima che da me, veniva dal Papa. In alcune occasioni temo di aver avuto la mano troppo pesante con chi si opponeva».
In quali occasioni?
«Quando vedevo che un nostro collaboratore prendeva decisamente una direzione diversa, lo sostituivo».
Qualcuno la rimprovera di aver sostenuto troppo Berlusconi. Cosa risponde?
«Non ho sostenuto Berlusconi o qualche altro politico come tale. Ho cercato di realizzare alcune cose; e in questo mi sono trovato non di rado in sintonia con Berlusconi».
Come sono oggi i rapporti con Prodi? Lei celebrò le sue nozze, ma ci fu la rottura sul referendum sulla fecondazione assistita: «Sono un cattolico adulto…» disse l’allora premier.
«Oggi i nostri rapporti sono scarsi ma buoni. Da giovane sacerdote a Reggio Emilia sono stato molto legato a lui e alla sua famiglia di origine. Le nostre strade si sono diversificate molto prima del referendum sulla procreazione assistita, quando la crisi della Dc diventò irreversibile e Romano si collocò a sinistra, diventando rapidamente il leader di quello schieramento. Che sosteneva posizioni etiche e antropologiche che non potevo condividere».
È vero che Cicchitto una volta le disse che avrebbe dovuto fare il segretario di Forza Italia?
«Cicchitto me l’ha detto non una ma parecchie volte (Ruini sorride). Pur avendo su alcuni temi idee assai diverse, siamo amici da anni e ne ho molta stima: lui più di me capisce di politica».
Quando Luciana Littizzetto la chiamava Eminenz, le dava fastidio o la divertiva?
«Decisamente mi divertiva. Irritava invece varie persone a me affezionate».
In morte di Welby non poteva comportarsi diversamente? Celebrare il funerale religioso?
«In coscienza non potevo agire diversamente. Welby ha deciso di porre fine alla sua vita con piena lucidità e consapevolezza. Mi rendevo conto che negargli il funerale religioso mi avrebbe attirato forti critiche, ma questo non mi ha mai spaventato. E soprattutto il funerale religioso è una cosa assai diversa dal giudizio di Dio. Per la salvezza eterna di Welby ho pregato molto».
Quando vide Wojtyla l’ultima volta?
«Il mattino prima che morisse. Non era più al Gemelli, era tornato in Vaticano. Chiesi la sua benedizione. Tracciò a fatica un segno di croce. Ho pregato un poco, poi sono uscito perché stava troppo male e non volevo affaticarlo ulteriormente».
Il Conclave cui lei partecipò fece la scelta giusta?
«È stato un conclave permeato dalla gioia e dalla gratitudine a Dio per il pontificato di Giovanni Paolo II e per l’apoteosi finale alla sua morte. L’elezione del cardinale Ratzinger è avvenuta rapidamente e con poche opposizioni. Riconoscevamo in lui il più qualificato collaboratore e continuatore del Pontefice defunto. Anche oggi ritengo che sia stata la scelta giusta».
Cosa provò quando Ratzinger si dimise?
«Ho provato totale sorpresa. Sconcerto. E dolore. Poi ho pensato che pochi giorni dopo sarebbe stato eletto il nuovo Papa, e così il trauma sarebbe stato superato».
Oggi lo vede ancora?
«Lo vedo un paio di volte all’anno, e il nostro legame affettivo è sempre più forte».
Che cosa pensa davvero lei di papa Francesco?
«Forse non ho con lui quella spontanea sintonia che avevo con Giovanni Paolo II e anche con Benedetto XVI. Ma di lui penso molto bene. Ammiro la sua dedizione alla Chiesa, ai poveri, alla fraternità tra tutti gli uomini e i popoli. In una parola, in Francesco riconosco il mio Papa, senza riserve».
La Chiesa italiana oggi è in declino? La sua autorevolezza, la sua influenza sulla società sono in declino?
«Purtroppo un certo declino è innegabile. Le cause sono molte. La principale è la forza della secolarizzazione, anzi della scristianizzazione che attraversa le società occidentali e si allarga anche oltre; ad esempio in America Latina. Non dobbiamo però rassegnarci, tanto meno disperare. Occorre insistere nell’evangelizzazione e prendere posizioni chiare, coraggiose e realistiche sui problemi che interessano alla gente. Soprattutto, dobbiamo aver fiducia nel Signore che non abbandona il suo popolo».
Ogni tanto qualcuno progetta un partito cattolico. C’è spazio oggi?
«Personalmente ritengo che lo spazio non ci sia, o sia tanto piccolo che occuparlo sarebbe ben poco significativo o persino controproducente».
Un anno e mezzo fa lei fu molto criticato quando disse che era giusto dialogare con Salvini, e che lui doveva maturare. È quello che è accaduto?
«Salvini nelle circostanze presenti ha agito con saggezza e determinazione, senza dare spazio alle molte provocazioni di cui è stato oggetto. Oggi è una risorsa importante, non solo per il suo partito».
Conosce Draghi? Come giudica la svolta del suo governo?
«Ho parlato con Draghi, se ben ricordo, una volta sola, parecchi anni fa. Ho di lui grande stima. Penso che la svolta del suo governo sia stata molto positiva per l’Italia e per il suo futuro».
Lei si è espresso contro il ritorno al proporzionale. Perché?
«Perché renderebbe l’Italia ancor meno governabile di quello che già non sia».
Alla fine non ci saranno preti sposati, tanto meno donne sacerdote. Ma come frenare allora il calo delle vocazioni?
«Il calo delle vocazioni è un fatto gravissimo, che può avere effetti devastanti sul radicamento della fede nella popolazione. Però è un’illusione pensare di porvi rimedio abolendo la regola del celibato, o aprendo alle donne il sacerdozio: nelle Chiese protestanti ciò è praticato da molto tempo, e la situazione è peggiore della nostra. La via perché nascano vocazioni passa attraverso la preghiera e la cura pastorale dei giovani e delle famiglie, perché considerino la chiamata di un figlio al sacerdozio non una disgrazia ma un dono di Dio».
La pedofilia non ha fatto molto male alla Chiesa?
«La pedofilia ha danneggiato terribilmente la Chiesa. Sarebbe sbagliato però collegare la pedofilia al celibato. La pedofilia è diffusa soprattutto all’interno delle famiglie e tra gli uomini sposati».
Pure in Vaticano gli scandali, anche finanziari, non sono finiti. Come mai?
«La Santa Sede sta cercando di farli finire. Ma una vittoria definitiva sul peccato, e in particolare sul grande male della corruzione, non è realizzabile in questo mondo, come ci ha detto chiaramente Gesù stesso».
Lei è stato anche presidente della Commissione di inchiesta su Medjugorje. Che idea si è fatto? È davvero la Madonna che parla?
«L’idea che ci siamo fatti è che all’inizio fossero autentiche apparizioni mariane. Poi potrebbero essere entrate in gioco dinamiche psicologiche, note agli studiosi. Comunque da Medjugorje continua a sgorgare un torrente di bene».
Si è mai imbattuto in un miracolo o comunque in una manifestazione soprannaturale, che la ragione non riusciva a spiegare?
«Mi è accaduto più volte. In questi giorni ho letto le relazioni dei due miracoli in base ai quali Giovanni Paolo II è stato proclamato beato e poi santo. Entrambi, e specialmente il secondo, sarebbero incredibili se non fossero documentati scientificamente al più alto livello. Così proprio il progresso delle conoscenze mediche non fa svanire la nostra conoscenza del soprannaturale; anzi, la consolida».
Qual è il secondo miracolo di Wojtyla?
«A una donna del Costarica, Florybeth Mora Díaz, si ruppe un aneurisma cerebrale. Aveva il cervello devastato dall’emorragia. La notte stessa dopo la beatificazione di Giovanni Paolo II la donna sentì una voce che le diceva: “Alzati”. Si alzò, e stava in piedi. I medici non ci credevano, pensavano di aver scambiato i referti con quelli di un’altra paziente. Dovettero constatare che era avvenuto qualcosa di inspiegabile, il cervello non era più devastato. Ora quella donna sta benissimo».
Lei ha paura del Covid? E della morte?
«Del Covid non ho avuto troppa paura, e sono già stato vaccinato…».
Dove?
«A casa mia, la settimana scorsa, da una dottoressa mandata dal Vaticano. Della morte ho certamente paura, e ancor più del giudizio di Dio. Mi affido alla sua misericordia. Prego. E cerco di essere un po’ più buono».
Come finirà la Storia? Gesù tornerà, e troverà ancora la fede sulla Terra? «La fede cristiana pone alla fine della Storia il ritorno di Cristo, la resurrezione dei morti e il giudizio universale. Riguardo al modo in cui tutto questo accadrà, dobbiamo essere molto sobri: potremo conoscerlo solo allora, quando ne faremo esperienza. Gesù ha lasciato aperta la domanda se al suo ritorno troverà ancora fede sulla Terra; tanto meno possiamo pretendere di dare noi la risposta. Possiamo e dobbiamo pregare e operare affinché la luce della fede non si spenga in noi e nei nostri fratelli».
Come immagina l’Aldilà? Non ha mai avuto dubbi sulla resurrezione dei corpi?
«Non possiamo immaginare l’Aldilà, perché non ne abbiamo esperienza e più radicalmente perché l’Aldilà è Dio stesso, a cui speriamo di essere uniti per sempre. Per la fede, la resurrezione dei corpi è qualcosa di assolutamente reale, ma non di “fisico”. Non è un ritorno alla vita di questo mondo. Su questa, come su altre verità della fede, ho sempre avuto delle tentazioni, dalle quali il Signore in questi ultimi mesi spero che mi stia liberando. Tentazioni, non dubbi».
Che differenza c’è?
«Il dubbio implica la sospensione dell’assenso di fede; e da questa il Signore mi ha preservato».
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