Da Il Corriere del Mezzogiorno del 14 aprile
La Calabria è un mistero? È un paese difficile abitato da gente difficile? È una regione segnata dall’immobilismo, ove la vita economica, civile e sociale si muove su binari segnati dalla tradizione, dall’isolamento e dall’emarginazione? È uno sfasciume pendulo sul mare come ebbe a definirla Giustino Fortunato? A queste domande risponde Giuseppe Galasso nel suo libro Calabria, paese e gente difficile (Rubbettino, 2015): un titolo che riporta un giudizio di uno scrittore calabrese importante, quale fu Corrado Alvaro. Galasso lo commenta nella pagine suggestive della sua introduzione a questo volume che raccoglie una serie di lavori dedicati a quella regione, da lui scritti in tempi e in circostanze diverse, ma coerenti in un impegno di studio ininterrotto e fecondo di sempre nuovi risultati, nella scia del suo fondamentale libro sulla Calabria del ‘500, apparso nel 1965, e già rivisitato, sviluppandone le prospettive, con La Calabria spagnola (Rubbettino).
Egli si chiede le ragioni per cui una regione, che ancora nel ‘700 e in seguito non differiva molto da altre regioni del Mezzogiorno, fu considerata, allo stesso tempo, una terra isolata e lontana, abitata da gente feroce e dedita al brigantaggio, preda delle frane, dei terremoti, della malaria. E ravvisa tali ragioni non nella natura, in sé e per sé, bensì nel fattore storico e umano che modella il territorio, lo piega alle proprie esigenze e lo costruisce approfittando delle opportunità che esso offre secondo le spinte delle strutture e delle gerarchie sociali che nella storia si determinano e su sviluppano. E di questa storia – dopo un esame della geografia nella scia di Lucio Gambi, e dei temi e motivi dell’immagine storica della regione, nonché della sua scoperta antropologica – sono ripercorsi qui molti momenti topici in pagine di sicuro rilievo storiografico, come il 1799 e la condizione al momento dell’unificazione italiana.
Per Galasso la terra, la proprietà fondiaria, i contadini, le loro lotte sono state il vero, millenario problema della storia calabrese. Un problema che solo alla metà del Novecento perché si tentò di affrontare con una riforma agraria e con la nascita dell’Opera di Valorizzazione della Sila (OVS), che avrebbe dovuto spezzettare il latifondo, radicare i contadini senza terra su un podere e favorire la nascita di cooperative di servizi e di trasformazione dei prodotti. E al problema della riforma agraria Galasso dedica uno dei saggi più penetranti dell’intero libro, che ne evidenzia i numerosi limiti e condizionamenti, ma anche l’aver segnato la definitiva crisi del tradizionale ordinamento agrario.
La Calabria, insomma, per Galasso non è mai stata immobile: terra di persistenze e di resistenze, ha prodotto intellettuali e politici che si sono mossi in una prospettiva di cambiamento, spesso pagando di persona il prezzo delle proprie idee. Uno di essi è Vincenzo Padula, intellettuale, professore, sacerdote, vissuto tra 1819 e 1893. Padula fu il fondatore, il direttore, l’autore della maggior parte degli articoli de «Il Bruzio», edito a Cosenza tra marzo 1864 e luglio 1865. Egli vi delineava il quadro di una Calabria non segnata solo dal provincialismo e dal ribellismo senza prospettive dei ceti sociali più disagiati. Il suo fu un giornale militante, aperto al nuovo benché dovesse scontrarsi con pregiudizi e soprattutto con consolidate clientele di vecchia o nuova origine, che è sorprendente ritrovare nella remota provincia calabrese negli anni in cui nasceva il giornalismo italiano contemporaneo.
In conclusione, la riflessione di Galasso spazia da una Calabria in idea a una Calabria nei fatti, cogliendone, insieme, la molteplice varietà e l’indubbia e profonda unità storica e culturale, nonché, al fondo, le zone grigie, le contrapposizioni, un’inquietudine (L’inquietudine nella storia è il titolo di un libro dello storico calabrese Augusto Placanica di cui Galasso traccia un nitido profilo), che forse non è oggi solo quella delle popolazioni calabresi o meridionali.
di Angelantonio Spagnoletti
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di Angelantonio Spagnoletti