Ricette erotiche e ricotte apotropaiche, maiali più sacri delle vacche della ‘ndrangheta, stelle Michelin nate dall’emigrazione di ritorno e trentenni che si sono messi in gioco tra birre artigianali e pizze napoletane. E ancora la magia di un Parco artistico che sembra un pezzettino del Güell di Barcellona nella punta dello Stivale.
È la Calabria attraversata dalla Limina, la strada Tirreno-Jonio che sorprende a ogni tappa, una cartolina da luoghi remoti, lontani dai flussi turistici più canonici. In poco più di mezz’ora si percorre il coast-to-coast che taglia in due la regione: arrivando da nord in autostrada, magari dopo essere atterrati a Lamezia Terme, bisogna puntare a oriente una volta superato il distretto della Sacra Triade vibonese (cipolla di Tropea-pecorino del Monte Poro-‘nduja di Spilinga), vale a dire il territorio che insiste su Nicotera, il cui nome è legato ad Ancel Keys e alla teorizzazione della dieta mediterranea. Siamo nel cuore della regione che nel 2017 affascinò il New York Times e quest’anno ha spopolato a Identità Golose.
Ci si lascia alle spalle il distretto di Gioia Tauro e i suoi bracci meccanici grandi come il sogno infranto del porto che doveva far decollare la Calabria, e s’imbocca l’istmo in direzione ostinata e contraria rispetto al tragitto del sole. Prima tappa a Polistena: l’insegna dell’enoteca di Giampiero Pecora, Donna Nela, rende giustizia a uno staff dove le quote rosa sono maggioranza. Centinaia di etichette tra vini – non solo calabresi – e distillati, con la possibilità di un pranzo o cena più o meno veloci: qui però mettetevi l’anima in pace perché i ritmi devono essere rigorosamente slow. A San Giorgio Morgeto la macelleria Ioppolo propone da tre generazioni carni locali e salumi della tradizione: ma oggi, con gli occhi al passato o meglio a una storia che sa di leggenda, Enzo e Renato Ioppolo progettano un futuro in cui avviare una produzione di prosciutto ispirato alle cosce di maiale salate che il Re Morgete, figlio di Italo, si narra desse ai propri soldati – i due fratelli lo hanno raccontato a Luca Iaccarino in un recente paginone di RFood sul “sacrificio del maiale, rito antico e cruento”.
Siamo in un territorio incastrato fra le Serre vibonesi e l’Aspromonte: la strada Limina riporta nel nome il «limen» che per i latini significava soglia, e mai come in questo caso sub-limen è tutto ciò che vi sta intorno. Ma «Limen» è anche il nome di un microbirrificio di Siderno, popoloso centro jonico della Locride: oltre a imporre la sapienza brassicola in un territorio storicamente vocato al vino, questi giovani homebrewers smontano i topoi della neolingua dialettale – una “Pacific Ipa” si chiama ad esempio Neither The Dogs, anglismo per “manco li cani”. A proposito di animali, qui le vacche sacre della ‘ndrangheta che spadroneggiano nella piana di Gioia sono lontane, si fa di tutto per affrancarsi dal giogo delle mafie facendo leva su idee imprenditoriali legate all’enogastronomia: se a San Giorgio Morgeto è sacro il maiale, a Mammola ad essere venerato è un pesce, alquanto a sorpresa in un’enclave pastorale.
Mammola è infatti come un pezzo di Norvegia nella Calabria più profonda: lo stoccafisso – a queste latitudini semplicemente “stocco” – importato dal Nord Europa viene lavorato qui e, soprattutto, cucinato in una decina di ristoranti che circondano la piazzetta del paese. È così tipico da essere menzionato fra i 268 “prodotti tradizionali regionali” del censimento Coldiretti. La ricetta del posto (con patate, cipolla e olive nere) attira pattuglie di buongustai da tutta la regione e oltre, alimentando un fenomeno inspiegabile: che ci fa il pesce nordico sulle tavole del sud più a sud? È quasi la stessa anomalia che fa di Potenza una tappa ineludibile per gli amanti del baccalà: nel capoluogo lucano però ci saranno i peperoni cruschi di Senise ad ancorarvi al territorio. Dalla sua Nicchia di Cassandra, Alessandra Ieraci presenta così i suoi piatti: “Alte temperature protratte opportunamente, aprono pieghe altrimenti celate da fitta pudicizia, passaggi obbligati per l’extravergine che scivola nei profondi meandri a fondersi in attimi di eccellente intimità”. Giusto per ribadire che la cucina è anche sensualità, tanto che, sempre a Mammola, la ricotta caprina è per così dire apotropaica: “L’unico prodotto caseario erotico – spiegano Ottavio Cavalcanti e Gianfranco Manfredi nella loro “Guida ai ristoranti della Calabria” (Rubbettino 2012) – per la forma inequivocabilmente fallica e il colore rosa scuro dorato”. Affumicata o fresca, è tanto versatile da poter essere grattugiata sulla pasta o gustata come dolce, magari con del miele di castagno, il cui legno è usato assieme all’erica nell’affumicatura. Mammola è celebre – ma forse non abbastanza – anche per il MuSaBa, parco artistico creato mezzo secolo fa da Nik Spatari e Hiske Maas: 20mila presenze l’anno in 70mila mq attorno a un ex complesso monastico; assolutamente da visitare le imponenti installazioni, sculture e concrezioni mosaicate con suggestioni che in più d’uno potranno richiamare quelle del parco Güell di Antoni Gaudì a Barcellona.
La tappa a Gioiosa Jonica non può prescindere da una sosta nella pizzeria Santa Caterina di Vincenzo Multari, a qualche metro dalla piazza principale dove troneggia il murale in memoria del mugnaio Rocco Gatto, vittima di ‘ndrangheta nel 1977: Multari usa farine di germe di grano vivo macinato a pietra e opta per lievitazioni fra 72 e 96 ore di fermentazione in sacchi alimentari a una temperatura di 5°. Ora siamo pronti ad approdare sulla sponda opposta della Limina, la costa che accolse Cesare Pavese in esilio e affascinò Pier Paolo Pasolini, zona selvaggia e letteraria: l’opposto della Calabria tirrenica dove il marketing territoriale si alimenta da decenni del turismo più o meno di massa lungo le coste Viola e degli Dei.
Al Gambero Rosso di Marina di Gioiosa Jonica, Riccardo e Francesco Sculli sono la prova vivente di come lo studio e il talento non possano che produrre risultati invidiabili se innestati su una solida tradizione di famiglia: il ristorante è stato fondato infatti dai genitori Giuseppe e Anna Maria, tornati in Calabria per re-impiantare la loro arte culinaria acquisita da ristoratori emigrati oltreoceano (lo chef Riccardo è nato a Toronto). La seconda generazione ha fatto il resto e dal 2013 brilla una stella. Michelin.
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