Da La Gazzetta del Mezzogiorno del 18 dicembre
Lo Stato è governato da una politica la cui attuazione viene in larga parte demandata alla Pubblica Amministrazione, che diventa così espressione operativa del Governo. Proprio per questo, la Pubblica Amministrazione, chiamata appunto a interpretare la politica, dovrebbe imparare a svolgere con efficacia ed efficienza il proprio compito. Ma perché la politica e il suo braccio amministrativo possano operare in termini ottimali, è indispensabile che abbiano una base comune fatta di grande professionalità. Ciò che definiamo «professionalità» oggi purtroppo è piuttosto in disuso e comunque non è mai possibile improvvisarla dato che è sempre la naturale conseguenza di un assiduo e profondo percorso di apprendimento segnato da studi intensi nell’ambito delle singole specifiche competenze e da una attenta rivisitazione di esperienze via via consolidate nella Storia.
Due recenti libri rendono di tutto questo ampia testimonianza: Una certa idea dell’Italia. Cinquant’anni tra scena e retroscena della politica e dell’economia (Guerini e Associati ed.) di Lamberto Dini e Pietre di Confine. Personali apprendimenti (Rubbettino ed.) di Sergio Zoppi. Sono due piccoli trattati, differenti per connotazione politica e per impostazione editoriale, complementari e quindi sinergici per la profondità con cui i due autori esaminano i loro personali processi di formazione professionale – politica per Dini, più amministrativa per Zoppi – e raccontano metodi e modalità applicative che hanno consentito loro di conquistare un successo caratterizzato, sia per Dini sia per Zoppi, da grande sensibilità d’animo e da raffinata educazione.
Ho avuto modo di apprezzare personalmente queste doti avendo conosciuti entrambi per motivi di studio e di lavoro. Nel 1982 a San Francisco, in occasione di un party offerto dal Console d’Italia Alessandro Vattani, conobbi Sergio Zoppi, allora presidente del Formez – un incontro oggi raccontato dallo stesso Zoppi nel suo libro. Conoscevo il presidente di fama perché sapevo che aveva saputo disegnare il Formez come vera e propria learning organization, inusuale nelle nostre strutture pubbliche, permeandolo di spirito d’impresa con il fine di insegnare ai funzionari a diventare «imprenditori di se stessi»
Ebbe così inizio una profonda amicizia che si consolidò quando nel 1987 assunsi la presidenza di Tecnopolis – si sviluppò infatti una proficua collaborazione di lavoro sempre accompagnata da appassionati momenti di grande Cultura. In verità, già nel 1982 avevamo avuto modo di collaborare come membri del comitato tecnico scientifico di una Commissione presieduta dal ministro Massimo Severo Giannini, istituita appunto dal Formez per una innovativa «Ricerca sull’organizzazione e sul personale della Regione Puglia», voluta dall’allora presidente Nicola Quarta a dieci anni dalla fondazione dell’Istituto Regionale. Si trattò di un lavoro innovativo ed esaltante svolto sotto l’indimenticabile, intelligente e appassionata guida di Pasquale Donvito, grande studioso ed esperto di problemi amministrativi. L’indagine regionale seguiva la più importante analisi nazionale che aveva coinvolto il Formez e in prima persona il presidente Zoppi «in una impegnativa e vasta ricerca condotta per la prima volta con metodi analitici d’impronta aziendale, sull’organizzazione, le procedure e i costi delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato».
Zoppi costruisce il suo libro ricordando anche diversi illustri personaggi della politica e della Pubblica Amministrazione dai quali riconosce di aver appreso molto. Cosi ci fa rivivere tante preziose esperienze parlando fra l’altro di La Pira, Spadolini, Andreotti e Fanfani, Pastore e Giannini, Massimo Annesi e Giovanni Marongiu e di grandi protagonisti del mondo delle organizzazioni come Pasquale Saraceno e Aldo Fabris. Maestri illustri che furono molto vicini al Mezzogiorno e a Bari in particolare.
Invece, il libro che Lamberto Dini ha scritto con Luigi Tivelli, vice presidente proprio a Bari della Fiera del Levante nei suoi tempi d’oro, in primo luogo ci insegna che «Dini non ha solo un’intelligenza spontanea; ha studiato duramente ed è arrivato ai vertici dopo molti anni di duro lavoro» – il che è in netta contrapposizione con il fatto che «se si pensa alle nuove classi politiche, all’Italia dei nuovi dilettanti, vari dei quali, al massimo, se la sera devono andare a qualche talk show, danno una ripassata alla rassegna stampa del giorno, immersi come sono nel presentismo» non può non indurre a serie considerazioni. Dini, che può essere davvero fiero di aver «attraversato cinquant’anni di vita pubblica tra Washington e Roma» con una «personalità […] sempre pronta a studiare, documentarsi, ad approfondire in quanto attenta alle policies, ai contenuti delle politiche pubbliche, e occupandosi invece di politics solo quando il ruolo e il momento lo richiedevano».
Anche con Dini il mio primo incontro fu del tutto occasionale, sempre in America, all’aeroporto di New York nel 1995. Poi nel 2000 Dini nel suo ruolo di Ministro degli Esteri mi propose un importante viaggio di conferenze in America Latina. Ebbi così modo di apprezzare la sua costante e benevola civiltà di comportamento peraltro da lui sempre manifestata anche nei cauti giudizi sugli avversari politici.
Entrambi questi libri si presentano di appassionante e interessante lettura, come sempre lo sono le biografie e autobiografie di personalità importanti che insegnano tantissimo e che dovrebbero diventare testi di approfondimento «per i nostri politici [che] sembrano essere un po’ miopi, vedono abbastanza bene da vicino, ma non sanno guardare a media distanza e tanto meno lontano, guardano troppo i sondaggi e sono terrorizzati dall’idea di perdere il consenso», come le stesso Dini ammonisce in conclusione dell’entusiasmante racconto del suo «mestiere di vivere».
di Gianfranco Dioguardi
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