Da Il Giornale del 22 aprile
Diciamolo subito prima che qualcuno ci accusi di essere di quelli che vogliono depistare, servi dei poteri oscuri che governano il mondo. Le congiure esistono. La storia ne è zeppa. Però una cosa è una congiura – già Machiavelli spiegava che per lo più vengono scoperte e finiscono male – e un’altra gli onnipresenti complotti globali che scaturiscono dalla fantasia di molti di noi. Sono così tanti che non riusciremmo a elencarli: i Savi di Sion, il complotto per uccidere Kennedy, il complotto delle Torri gemelle (non quello vero di Bin Laden ma quello della Cia), il ruolo dei servizi «deviati» nel caso Moro, le scie chimiche, il ruolo del gruppo Bilderberg, persino il complotto massonico che avrebbe portato al disastro della Costa Concordia… Sia chiaro, non è che nella realtà non esistano gruppi di pressione, operazioni segrete, misteri irrisolti ma difficilmente assumono una dimensione globale e pervasiva. E di certo non fanno mai capo a misteriose entità malvagie che tutto possono e tutto vedono. Ma allora perché gli esseri umani hanno sempre bisogno di immaginarsi una qualche sorta di «spectre»? A dare una risposta al quesito prova un libro appena pubblicato da Rubbettino, a cura di Alessandro Campi e Leonardo Varasano: Congiure e Complotti. Da Machiavelli a Beppe Grillo (pagg. 230, euro 16). Il volume raccoglie contributi di vari studiosi, alcuni dei quali già comparsi su Rivista di politica, analizza le radici del complottismo, passando dalla storia politica alla sociologia, con incursioni anche nella storia della lingua (notevole lo sforzo di Campi per distinguere semanticamente congiura e complotto). Già dall’introduzione Campi (storico delle dottrine politiche) e Varasano (storico contemporaneista) inquadrano il complottismo per quel che è: «L’idea del complotto… si fonda su una lettura semplificata dei fatti sociali ed è alimentata da una psicologia che inclina al senso di persecuzione. Si ricorre al complotto come ad uno strumento cognitivo in grado di gettare luce sui fatti sino a renderli immediatamente intellegibili e per ciò stesso meno angoscianti».
Detto questo, però, bisogna tener presente che il rischio di cadere nella fascinazione delle teorie complottarde c’è per tutti. Perché, spesso, chi elabora queste teorie è abile a farci sembrare quelli che Norman Mailer chiamava fattoidi per fatti. In questo senso è magistrale nel volume il saggio di Valter Coralluzzo intitolato Critica della ragion complottista: il caso 11 settembre. Coralluzzo, seguendo le orme di Daniel Pipes (uno dei primi a riflettere sulla sindrome complottista), fornisce un buon metodo per «distinguere il solido terreno dei fatti dalla palude della fantasia». Lo strumento principe resta il «rasoio di Ockham», principio filosofico riassumibile in: «quando un fatto può essere spiegato in diversi modi, la spiegazione più convincente è quella che richiede il minor numero possibile di ipotesi successive». E nessuna delle teorie del complotto sull’11 settembre (bombe piazzate nelle torri, un missile, il fatto che gli ebrei fossero stati preavvertiti, l’idea che la Cia sapesse in anticipo…) sopravvive ad una disamina fatta in questo modo. A esempio se il World Trade Center fosse stato minato, per farlo crollare, come mai nessuno si è accorto delle tonnellate di esplosivo portate all’interno? O se il Pentagono fosse stato colpito da un missile e non da un aereo, chi ha abbattuto i pali della luce ai due lati della strada? Un missile ha le ali? Ovviamente questi dati oggettivi non basteranno a fermare il complottista di razza, rimuoverà dal contesto i dati che lo infastidiscono e riproporrà la sua risposta semplice e lineare. Per lui il caso e l’errore umano non esistono, c’è sempre un piano.
Soprattutto se è un complottista italiano. Perché se il saggio di Raoul Girardet, Il mito politico della cospirazione universale, mostra le origini ottocentesche delle teorie del complotto e se il saggio di Richard Hofstandter, Lo stile paranoico nella politica americana, dimostra che il complottismo è fortissimo oltre oceano, non c’è dubbio che gli italiani siano complottisti da primato. Lo dimostra il lavoro (di Varasano) a fine volume: L’ossessione italiana per i complotti da Machiavelli a Beppe Grillo.
di Matteo Sacchi
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