È morto il giorno di Natale. Il combattente, lo chiamavano, il partigiano, il giornalista, che definiva la sua professione uno strumento per cambiare il mondo. Amava il suo lavoro ed era convinto che non si può essere giornalisti se non si ha il coraggio di dire la verità. La sua era sempre una verità scomoda, bruciante. Le sue dichiarazioni schiette e la sua scrittura essenziale hanno sempre diviso l’Italia in due. Anche in occasione della sua morte si sono riaperte polemiche. Oggi le sue parole tornano sui giornali, nelle interviste e danno ancora più fastidio. Perché la verità genera odio, oppure perché quando qualcuno riesce a ferire, a lasciare un segno ma poi va via quasi infischiandosene di quanto detto, resta un’amara consapevolezza, o per lo meno, il dubbio. I giudizi e i ricordi su Bocca sono contrastanti, ma di certo c’è che la libertà di pensiero è sempre alla base di ogni sana democrazia. Il rischio di chi scrive e di chi sceglie di fare il giornalista è quello di aver paura di dire ciò che pensa, attirando le antipatie e gli attacchi di chi la pensa diversamente da lui. Ma Giorgio Bocca sembrava non preoccuparsene, anche a costo di sbagliarsi. Diceva: “il giornalismo? Guardare e raccontare. Se uno non è un cretino, la verità la vede subito. Non è difficile capire quello che succede”.
Tra le ultime polemiche suscitate dai suoi interventi, ricordiamo quelle relative all’uscita di Aspra Calabria, il reportage con la prefazione di Eugenio Scalfari, appena pubblicato dalla nostra Casa Editrice, in cui il giornalista non risparmia la sua critica corrosiva nei confronti del Sud e dei suoi vizi e ci riporta un quadro impietoso della regione. In quelle pagine Giorgio Bocca racconta la sua esperienza in Calabria, un viaggio che fece negli anni ’90, che lo immerse profondamente in una realtà talmente oscena e brutale da indurlo a paragonarla al Vietnam. Il suo resoconto, senza filtri, e la durezza delle sue descrizioni l’hanno reso insopportabile a molti. Tra i suoi stessi colleghi ci fu chi lo attaccò fortemente, accusandolo di essere un maestro di cattivo giornalismo e di non conoscere la Calabria, ma di averla raccontata sulla base di facili pregiudizi. Scrive di sequestri, di criminali che festeggiano un morto ammazzato con capre e champagne, di boschi fitti che mettono l’ansia, di banditi a cui viene data la caccia in elicottero ma che vengono presi di rado, cuori di tenebra alla Conrad, chiusi in una loro stoica durezza. Mentre si muove per le strade della locride si chiede cosa direbbe ai signori mafiosi dell’Aspromonte se dovessero fermarlo. In Aspra Calabria ci sono le cronache di violenza di un passato recente, storie di ‘ndrangheta, di sequestri di persona. Storie che accadono, di cui Bocca porta una testimonianza. La Calabria non è tutta qui, ovvio. Ma ignorarne questa parte sarebbe come nascondersi dietro un dito.
Da Il Riformista, 28 settembre 2011, di Andrea di Consoli
Il fatto è che il racconto italiano, da qualche anno a questa parte (da Gomorra in poi?) si è troppo impregnato di sangue e di effetti speciali mostruosi; ed è come se la nazione rifiutasse una Calabria “normale”, non impregnata di sangue, di cocaina, di danaro sporco. E quindi: quando la smetteranno i grandi inviati del Nord di scendere al Sud come se andassero nelle “Indie di quaggiù”, compiacendosi di aver attraversato in taxi l’inferno della mafia? E perché non proviamo a smentire Giorgio Bocca – se di questo si tratta – con un racconto più frastagliato, più profondo, più ricco di quel che lui ha fatto percorrendo la Calabria col naso arricciato dallo schifo? Anche perché la storia di un popolo – giova sempre ripeterlo – non coincide mai con la sua storia criminale o giudiziaria.
Da Il Quotidiano della Calabria, 4 ottobre 2011, di Filippo Senatore
Una descrizione tagliente e incalzante che non fa sconti a nessuno, sebbene addolcita dalle citazioni classiche. Bretti e greci. Civiltà perdute che potrebbero riaffiorare, secondo la leggenda, riscattando anni di schiavitù, battendo le barbarie mafiose. Non usa mezzi termini Giorgio Bocca. Non è mai stato tenero con i meridionali. E’ stato accusato di razzismo dai detrattori, ma lui che detesta la Lega Nord e Umberto Bossi, sfida chiunque nell’Agorà come le sue montagne.
Da Gazzetta del Sud, 30 ottobre 2011, di Roberto Messina
È un racconto fitto, serrato, duro, che non lascia spazio all’interpretazione, che fa male, e che non dà scampo. Prende il lettore sin dall’inizio, cattura la sua immaginazione, la rende schiava dei “lupi feroci” che macchiano di odio le montagne aspromontane pur nella contradditoria devozione ai santi anacoreti che qui trovarono pace, e che impongono il mafioso dictat per ”vivere tutto” e “tutto reinterpretare”: la religione persino, lo Stato addirittura. Quello stesso Stato che, tuttavia, Bocca condanna, perché corroso in ogni dove da partitocrazia, clientela, interesse di lobbies, sette e clan, per cui l’orizzonte politico diventa angusto e il progetto più lontano.
Da Il Quotidiano della Calabria, 27 dicembre 2011, di Romano Pitaro
Le risposte che non ci ha dato.
I calabresi, quelli che non delinquono e che sono la stragande maggioranza, storcono il naso quando inchieste come la sua, “Aspra Calabria”, assimilano questa regione e l’Aspromonte a Saigon ed alle gabbie dei vietcong. Lei non crede che generalizzazioni così tranchant, rischino non soltanto di violare il principio di realtà, ma finiscono col deprimere le energie migliori che pure, nell’inferno calabrese, ci sono e resistono? Cosa ribatte a chi sostiene che “Aspra Calabria” è intrisa di clamorosi falsi? L’impressione, leggendo quell’inchiesta e la riflessione di un intellettuale di peso come Scalfari, è che per voi due questa regione del profondo Sud sia ormai persa per la democrazia. È una deduzione sbagliata? Non le pare, anzi, che questa tipologia d’inchieste giornalistiche abbia contribuito ad irrobustire l’humus ideologico su cui ha fissato le proprie radici la Lega di Bossi? In Calabria, la reazione alla pubblicazione del suo reportage è stata enorme (sono stati oltre trenta gli interventi pubblicati dal “Quotidiano”). Ma un’obiezione si staglia sulle altre: la Calabria considerata il simbolo di un Mezzogiorno fuori dai circuiti economici e sociali che contano, non rischia così di diventare il capro espiatorio di classi dirigenti nazionali che hanno fallito il compito di svecchiare l’Italia e di unirla sulla base dei valori costituzionali?
Tutte qui le domande finite nel nulla. Rimane la delusione per un’occasione di discussione pubblica che avrebbe potuto aiutare la Calabria a fare autocritica e Bocca, forse, a rivedere alcuni suoi giudizi un filo sprezzanti. Alle domande senza risposta, tuttavia, forse potrebbe ancora dare un senso Scalfari. L’acutezza d’ingegno che lo contraddistingue e la sua conoscenza degli itinerari culturali del grande Bocca, gli consentirebbero di parlare non soltanto per sé, ma anche di farci meglio comprendere il punto d’osservazione del partigiano di Cuneo, della cui poderosa indignazione l’Italia in disordine dei nostri giorni già avverte la mancanza.
Da Il quotidiano.it, 12 luglio 2011, di Florindo Rubbettino
È la Calabria vista con gli occhi dei viaggiatori.
Come tutti i diari di viaggio, queste cronache non sempre restituiscono la precisione del ricordo. Gli scritti si nutrono spesso dell’immagine e dei pregiudizi che ognuno si porta dietro e che proietta sull’oggetto del proprio racconto. Si legge il territorio attraverso le proprie lenti, i propri ricordi, le proprie sensazioni e letture. Questo vale per un grande giornalista come Bocca come per tanti dei viaggiatori che hanno attraversato nei secoli la nostra regione. Nella stessa collana abbiamo pubblicato, ad esempio, Cesare Lombroso che indubbiamente traccia un ritratto ingeneroso della Calabria e dei calabresi. E non è il solo. Ciò che conta è però l’affresco complessivo che viene fuori da questi scritti, soprattutto incrociando i singoli tasselli di questi racconti che attraversano vari periodi e che sono frutto dell’opera di personaggi noti e sconosciuti, scrittori e poeti, medici e militari, viaggiatori per diletto e per lavoro, artisti ed esuli. E in ogni caso credo che ogni libro che affonda il dito nelle piaghe di questa terra sia un contributo prezioso. Tanto più se le pagine sono opera di due dei più grandi giornalisti del nostro tempo. Che, come tutti, vanno letti con senso critico e sottoposti a duro contraddittorio.
Aspra Calabria
di Giorgio Bocca
con l’introduzione di Eugenio Scalfari
Altre Rassegne
- 2011.12.28
Bocca muore e l’Italia s’indigna