Massimo Palanca è stato un noto calciatore degli anni settanta/ottanta che raggiunse una certa fama vestendo la maglia del Catanzaro. Oltre che per i baffi molto folti, viene ricordato per la capacità di segnare direttamente da calcio d’angolo: ci riuscì per ben tredici volte nella sua carriera, sorprendendo anche i portieri più esperti. Dell’attaccante marchigiano, il collettivo di scrittori (Valerio De Nardo, Nicola Fiorita, Maura Ranieri) denominato appunto Lou Palanca (con evidente riferimento anche al cantautore americano) possiede la stessa capacità di sbalordire unita a una chiara intenzione di sconcertare il lettore andando a ripescare episodi poco edificanti della storia italiana, consegnati troppo frettolosamente alla storiografia ufficiale. Nel libro A schema libero (Rubbettino editore), si parte dai moti di Reggio Calabria del 1970 scoppiati in seguito alla decisione di assegnare la qualifica di capoluogo regionale a Catanzaro per arrivare fino al presunto suicidio di una dirigente del Comune. In mezzo, passa un pezzo di storia italiana raccontata da un disilluso agente dei servizi segreti in pensione con la passione per i cruciverba e una giovane giornalista poco valorizzata ma estremamente brillante. Le loro storie, in apparenza lontane nel tempo, finiranno per sovrapporsi e incrociarsi, svelando la trasformazione della malavita calabrese dall’epoca dell’economia rurale a quella moderna, tecnologica e globalizzata. Le alleanze di un tempo, i compromessi tra neofascisti, massoneria, criminalità e politica, favorite e blindate da servizi di sicurezza deviati, sopravvivono nei decenni e suggellano interessi scellerati. Naturalmente, tutto questo ha delle ricadute pesanti sulla vita delle persone comuni, come la giornalista Margherita, costretta dalle scarse opportunità che offre il suo territorio a trasferirsi a Roma, barcamenarsi tra lavori precari e incertezze personali, restar sospesa tra conflitto generazionale e spirito di rivalsa. Il romanzo-documentario che sa ben alternare le voci e i registri, la parte più saggistica con quella romanzata, è soprattutto un manifesto di denuncia quasi pasoliniano, un atto di accusa vibrante che parte dalle viscere del Paese puntando l’indice verso chi ha permesso che si arrivasse allo sfascio attuale. L’Italia vista dalla Calabria mostra il suo lato più indecente, il miscuglio di corruzione e illegalità sul quale si vorrebbe far calare un colpevole silenzio.
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