Gianni Scipione Rossi
Attilio Tamaro: il diario di un italiano
(1911-1949)
Rubbettino, pagg.1066, € 49,00
L’irredentista triestino Attilio Tamaro fu giornalista, storico, diplomatico, oltre che autore prolifico. Per decenni curò un diario privato rimasto inedito e che viene ora pubblicato in questo volume con un ampio saggio introduttivo curato da Gianni Scipione Rossi (vicepresidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice).
La stesura del diario prende inizio nella Trieste del 1911, “attraversa il fascismo per superare la fine del regime – di cui Tamaro percepisce il progressivo sfarinamento, quasi un’implosione – e la guerra perduta”; e, infine, “registra i profondi mutamenti dell’Italia dopo il 1945”.
Secondo Gianni Scipione Rossi, sono due i modi in cui possono essere lette le pagine di questo diario: “Il primo consiste nella “caccia” a notizie e particolari eventualmente sfuggiti alla ricerca storiografica su un singolo, persino marginale, episodio, possibile spunto per ulteriori ricerche”. Il secondo modo “consiste nel considerarle un grande romanzo storico – in presa diretta – sull’Italia e sull’Europa della prima metà del Novecento”.
Nei giorni successivi al 25 luglio 1943, Tamaro annota nel diario: “Suscita indignazione generale l’atteggiamento di Ciano che, tolto dal nulla da Mussolini che gli diede la figlia e onori d’ogni sorta e lo lasciò moltiplicare i milioni paterni e lo tenne anni e anni in posizione altissima difendendolo e perdonandogli tante vergogne e tanti errori, ora per tentare di salvarsi lo ha rinnegato. Tu quote, Brute…”.
Il 13 settembre 1943, poco dopo l’armistizio, aggiunge: “Non si parla con persona onesta che non riconosca il tradimento nell’azione di Badoglio. I disonesti lo vantano”. E ancora: “Fino a stamane speravo e mi sforzavo di credere il Re ingannato da Badoglio come i colleghi del Ministero: ma oggi il Re ha dichiarato alla radio che il maresciallo era stato da lui autorizzato a firmare. Dunque il re sapeva che la firma era avvenuta e mentiva dopo aver accettato le indegnissime clausole dell’armistizio senza abdicare”.
Tamaro riconosce provocatoriamente che il bolscevismo “ha creato in Russia gli elementi di una straordinaria potenza nazionale. Da noi ricostituirebbe una disciplina generale, aumenterebbe la produzione in gara coi regimi precedenti e preparerebbe, mediante l’alleanza con la Russia, la rivincita con l’Inghilterra. Di più, sommovendo ad imis tutti gli strati sociali, farebbe sortire una nuova classe dirigente”.
Ormai disilluso nei confronti di Mussolini, Tamaro dichiara di sentire “profondo l’aborrimento per il regime repubblicano. Ricordo la terribile constatazione di de Maistre: che dove si toglie un trono si forma un abisso di sangue. S’intravvede già ora questa verità attraverso i primi attacchi dei neorepubblicani e gli echi della ferocia dei regi. Il guaio è che nessuno può rivolere il re mentitore e transfuga, che il Principe gode assai poca simpatia e che la Monarchia sembra avere ancora poca vita palpitante”.
In ogni caso, l’acronimo PFR, per Tamaro, indica “pochi farabutti rimasti”.
In data 16 febbraio 1944, l’Autore scrive che Giovanni Preziosi “oggi fa lo sfegatatissimo servitore dei Tedeschi”, mentre “durante l’altra guerra fu informatore regolare e speciale dell’ambasciata francese: l’ha dichiarato lo stesso Barrère ed è stato stampato in occasione dei processi Bolo e Caillaux. L’hanno poi ristampato anche il “Mattino” e la “Nazione”, chiudendo la bocca all’ex reverendo, andato allora a Napoli e lanciatosi in una polemica contro gli Scarfoglio”.
“Romano Mussolini – osserva Tamaro nella pagina del diario datata 6 gennaio 1946 – a Ischia suona la fisarmonica per divertire gli americani, che gli regalano sigarette e altri doni. C’è episodio, che più di questo possa mostrare l’abiezione, in cui ci ha gettato la disfatta?”