Da Repubblica del 11 settembre
Una voce lontana sempre presente. È quella del grande attore Arnoldo Foà, deceduto quest’anno a 98 anni. Al di là della memorabile voce, Foà è stato un attore rigoroso, passionale, di rara misura drammatica. Ha recitato autori classici e contemporanei diretto da registi del calibro di Visconti, Strehler, Squarzina, Ronconi, Vacis con cui interpretò un memorabile Novecento di Baricco che a Firenze vedemmo alla Pergola. L’attore ha interpretato oltre 100 film ed è stato protagonista in tv di sceneggiati indimenticabili come Piccole donne, La freccia nera, Il giornalino di Gian Burrasca, I racconti di padre Brown con Rascel. Adesso è uscito un bel libro che lo ricorda: “Io sono il teatro” scritto dall’ultima moglie Anna Procaccini che ha vissuto e collaborato con lui negli ultimi diciassette anni di vita dell’artista, che ricostruisce, fra gli altri, i lunghi anni fiorentini (Rubettino).
Suo marito passava per essere un burbero.
«In famiglia era dolce, si mostrava burbero per capire di che pasta erano fatti i suoi interlocutori: se non si intimorivano, dopo poco rideva con loro».
Però suo marito diceva spesso ciò che pensava.
«Certo, una volta, era il ’98, Arnoldo andò a vedere Alessandro Haber che faceva Woyzeck di Buchner. Alla fine Foà andò in camerino e dopo i convenevoli di rito non resistette a dire: scusa Alessandro, ma io credo che tu non abbia compreso il personaggio, era tutto sbagliato! Meno male che con tempismo perfetto si palesò in camerino Michele Placido, che coraggiosamente quasi di peso fece uscire Arnoldo, liberando così il povero Haber. Una volta fu molto critico anche con Memè Perlini. Però, le ripeto, Arnoldo era una persona molto dolce».
Per esempio?
«Io lo seguivo tutte le sere in teatro. L’ho visto centinaia di volte. Lui certo non voleva consigli, ma ogni volta che usciva di scena mi chiedeva: come sono andato?
La modestia con cui proferiva questa frase mi ha sempre riportato alla sua sensibilità e semplicità fra le mura di casa: per me quelle parole hanno sempre unito il maestro al marito»
Foà nacque a Ferrara, poi seguì la famiglia a Firenze dove intraprese gli studi di economia e commercio.
«Ha sempre adorato Firenze, abitava in via delle Mantellate e il padre aveva una bottega di ferramenta in via del Sole. In seguito, quando tornava a Firenze, si divertiva a prendere un taxi e a parlare in fiorentino con i tassisti: tutti lo riconoscevano e tutti si ricordavano un suo film, uno sceneggiato, uno spettacolo. A Firenze si è sempre sentito a casa sua».
Foà era di origini ebraiche.
«Certo, anche se si professava ateo. In ogni caso è sempre stato un grande oppositore del fascismo e delle dittature: la sua arte ha combattuto la dittatura».
In quali occasioni?
«Le racconto un episodio: nel ’39 fu chiamato a sostituire Rossano Brazzi nella parte di Bruto nel Giulio Cesare di Gioacchino Forzano. Lo spettacolo si svolgeva all’Arena di Verona. La sua parte era un’invettiva contro il regime e il dittatore: mentre Foà recitava il pubblico ammutolì, trattenne il fiato, e non applaudì. Al termine dello spettacolo però gli fu impedito di uscire per gli applausi con il resto della compagnia, il pubblico continuava a chiamare Bruto, Bruto, a gran voce».
Ci racconti i battibecchi con Rascel.
«Foà non era un accentratore, alla fine condivideva gli applausi col resto della compagnia, per lui Rascel era invece troppo primadonna. Per dire com’era Arnoldo: alla fine di Sul lago dorato (2008, il maestro aveva 92 anni, ndr ), uscì di scena e lasciò gli applausi agli altri interpreti, tutti molto più giovani di lui, qualcuno davvero alle prime armi. Poi, dopo alcuni minuti di ovazioni, il direttore di scena convinse Foà a salire ancora sul palcoscenico. Lui si rivolse così agli spettatori: “Ma siete matti? Siete qui ad applaudire un vecchio di 90 anni?”. Era il suo saluto al pubblico degli ultimi tempi, mentre agitava minaccioso il bastone».
Qual era il regista più apprezzato da suo marito?
«Mi ha detto più volte: ce ne sono diversi che ho stimato e che stimo. Ma chi mi ha sicuramente colpito di più è stato Luchino Visconti, perché anche se non eravamo d’accordo ha accettato quello che volevo fare io. Ha accettato il mio modo di esprimermi. Visconti era bravissimo come regista e nella scelta delle scenografie, ed era un uomo affascinate, un gran signore».
Ci saranno delle iniziative per ricordare la grande figura di Arnoldo Foà.
«Nel 2016 avrebbe compito 100 anni: stiamo pensando aunagrande mostra su di lui da fare a Roma o a Firenze, o magari in entrambe le città».
Intervista di Roberto Incerti
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