C’è anche una Calabria diversa, lontana dagli stereotipi che la vogliono vittima inerme o complice della ‘ndrangheta. È la Calabria che alza la testa e si ribella, che non ha paura di guardare in faccia il male e affrontarlo. È la Calabria che Danilo Chirico racconta nel libro “Storia dell’antindrangheta”, pubblicato dalla casa editrice Rubbettino, nelle librerie dal 17 giugno. Il libro verrà presentato sabato 12 giugno alle 18.30 nel giardino del B-Side, in Via Giuseppe Belloni, 30, a Roma, nell’ambito della terza giornata del festival Vista da qui – La democrazia (qui il programma) .
I punti di forza della ‘ndrangheta
“Storia dell’antindrangheta” di Danilo Chirico è un libro ricco di racconti, di persone, di battaglie che sono ai più poco note, come del resto l’organizzazione criminale calabrese. Ma che cos’ha di diverso la ‘ndrangheta rispetto alle altre criminalità organizzate? E perché se ne parla sempre poco, rispetto, ad esempio a mafia e camorra? «Una delle armi principali della ‘ndrangheta è stato il fatto che è stata un oggetto sconosciuto, è stata considerata una mafia di serie B per tanto tempo e questo le ha consentito di agire in maniera indisturbata» ci spiega Danilo Chirico.
Non è un caso che, mentre mafia e camorra sono state rappresentate in decine di film e serie televisive, la ‘ndrangheta sia entrata in scena in una serie ben precisa, ZeroZeroZero, la serie tratta dal bestseller di Roberto Saviano sulla cocaina.«Perché è stata tenuta nascosta e non tenuta in adeguata considerazione? Credo che questo abbia a che vedere con la Calabria, che è sempre stata considerata una regione periferica, e questo ha determinato uno scarso interesse nei confronti della ‘ndrangheta. Un’altra caratteristica è quella di avere capito che, nonostante ci siano inchieste in corso, in realtà la ‘ndrangheta ha deciso saggiamente di non scontrarsi in maniera diretta con lo Stato, ma ha cercato di nascondersi, di trovare una camera di compensazione. L’ha trovata e questo le ha permesso di diventare la ‘ndrangheta che è oggi: un’associazione a delinquere che ha ramificazioni internazionali, ha capacità di condizionare settori economici, istituzionali, politici. Ma, soprattutto, quando si espande fuori dal suo territorio, la Calabria, utilizza la sua struttura organizzativa in metodo mafioso, e in questo modo crea un sistema di relazioni che le permette di essere, tutte le volte, esattamente quello di cui il territorio in cui si sta insediando ha bisogno. C’è bisogno di un certo tipo di lavori? La ‘ndrangheta è in grado di fornirli. C’è bisogno di denaro? La ‘ndrangheta ha la capacità di cogliere questa caratteristica. Le sue capacità sono: stare sottotraccia, la credibilità internazionale, la cocaina, di cui ha quasi il monopolio, e la capacità di insediarsi nei territori portando con sé il proprio patrimonio e creando il sistema di relazione che le consente di essere esattamente quello di cui il territorio ha bisogno».
Non c’è stata narrazione, identità e orgoglio
Nel racconto di Danilo Chirico si parla delle battaglie per l’occupazione delle terre, delle lotte politiche e per il lavoro, delle vertenze ambientaliste, dei conflitti sociali e dei cortei studenteschi. «Sono state esperienze molto importanti», spiega l’autore del libro. «Soprattutto negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta la battaglia dell’antindrangheta è stata molto forte, anche in maniera inconsapevole: le persone non combattevano contro la ‘ndrangheta, ma per i diritti sul lavoro, per la libertà nel proprio Paese, per la possibilità di eleggere chi volevano come sindaco. La capacità che hanno avuto è stata quella di riconoscere e modulare la loro battaglia. E lo hanno fatto già prima che la magistratura la riconoscesse».
«Molte di quelle battaglie, purtroppo, non hanno avuto nelle istituzioni la sponda giusta per affermarsi», continua. «E quindi ci sono state delle sconfitte, nessun riconoscimento da parte della magistratura, e nessun interesse da parte del Paese per queste zone. E quindi non c’è stata nessuna narrazione, non c’è stata identità e orgoglio nei calabresi che si battevano contro la ‘ndrangheta». Negli anni Novanta e nei primi Duemila però le cose sono cambiate. «Cominciano a crescere anche in Calabria delle esperienze che si riuniscono a quelle nazionali a livello di antimafia» ci spiega Chirico. «E ci sono state delle possibilità di uscire dal cono d’ombra, come la strage di Duisburg, o l’omicidio Fortugno, che hanno portato la Calabria sulle prime pagine dei giornali. Ma i tentativi che sono stati messi in campo alla fine non si sono rivelati positivi: la troppa pressione su alcune figure ha comportato lo sgretolamento di molte battaglie. Molti in questi anni hanno continuato a svolgere la loro funzione di lotta alla criminalità organizzata nei territori e avrebbero bisogno di un supporto maggiore, di una costruzione di un tessuto più largo perché queste battaglie possano arrivare a una conclusione positiva».
La storica manifestazione Reggio-Archi
C’è anche una storia molto particolare che il “Storia dell’antindrangheta” rievoca. È quella della Marcia della Pace Perugia-Assisi che, per l’unica volta in 60 anni di vita, nel 1991 si tenne fuori dall’Umbria e si trasferì in Calabria. E così ebbe luogo la storica manifestazione Reggio-Archi. «Nel trentennale della marcia il comitato organizzatore, composto prima di tutto da Associazione per la Pace, Arci e Acli, ebbe l’idea di rilanciarla in modo forte e aprì una discussione su cosa fare», racconta Chirico. «Si cambiarono le carte in tavola e si disse: noi combattiamo una battaglia per la pace, parliamo dei morti in Palestina e in altre parti del mondo, ma non ci rendiamo conto che sui nostri territori ogni giorno si combatte una guerra» ricorda l’autore. «In quel momento a Reggio Calabria c’è una mattanza, la seconda guerra di Mafia che in cinque anni ha fatto otto-novecento morti. Andare in Calabria e stata una scelta dirompente. Perché è la prima volta che accade. E perché la guerra di mafia in Calabria è ancora in corso e la società civile per la prima volta decide di mettere veramente le mani nel piatto. La cosa cresce ed è uno straordinario successo. La giornata precedente, per la prima volta, mette insieme tantissime realtà che diventeranno la piattaforma su cui si svilupperà il movimento antimafia negli anni successivi, fino ad oggi».
«La cosa straordinaria», aggiunge Chirico, «è che questa è l’anticipazione di un movimento che sarebbe poi arrivato: siamo prima delle stragi del 1992 e ci sono già tutti i presupposi dell’antimafia sociale. È stata la prima battaglia della società civile: fino a quel momento erano stati partiti politici a prendersene carico. Già nel 1991 si intuisce quella deve essere una strategia nazionale»
La presa di coscienza della Chiesa
Un altro aspetto importante della lotta alla ‘ndrangheta è la presa di coscienza via via crescente della Chiesa. «La Chiesa ha avuto un atteggiamento ambivalente» illustra l’autore. «Stiamo parlando di alcuni sacerdoti e vescovi che erano impegnati contro la ‘ndrangheta e la Chiesa degli inchini davanti alle case dei boss durante le processioni fino a pochi anni fa. Ci sono alcune figure nel mondo della Chiesa che hanno determinato il cambio di passo, Don Giacomo Panizza, Don Italo Calabrò hanno combattuto all’interno della Chiesa calabrese la loro battaglia. C’è una dialettica tra chi è silente, chi addirittura è complice, e chi ha deciso di fare una battaglia. Le parole di Papa Francesco in Calabria sono inequivocabili contro la ‘ndrangheta e hanno cambiato il corso delle cose. Da sempre le organizzazioni criminali hanno nella religione uno dei loro elementi caratterizzanti».
Prima dell’impegno della magistratura
Un dato interessante è che queste battaglie contro la ‘ndrangheta precedono l’impegno della magistratura. Che spesso, fino a un certo momento, era chiusa, girava la testa dall’altra parte, era impaurita o collusa. È anche merito di questo movimento, se dentro la magistratura è cresciuta una nuova consapevolezza. «La magistratura per tantissimo tempo non ha capito la ‘ndrangheta era un’organizzazione criminale», spiega Chirico. La parola ‘ndrangheta entra nell’ordinamento soltanto nel 2010. Un altro elemento sono quei magistrati che hanno chiuso un occhio o due perché facevano parte di un sistema di potere di cui la ‘ndrangheta era un pezzo significativo. Dai primi anni Novanta in poi però c’è stato un cambio di rotta importante».
Serve un nuovo scatto
E oggi? Che cos’è la ‘ndrangheta nel 2021? «La ‘ndrangheta oggi è la più forte delle mafie. Ed è in corso un ennesimo mutamento della ‘ndrangheta, che si sta riadattando alle nuove condizioni. La pandemia è stata una straordinaria sponda, la ‘ndrangheta ha messo in campo molti soldi per l’economia, per l’imprenditoria, per riciclare denaro. Ci sono delle inchieste importanti da parte delle magistrature, il livello d’attenzione è sicuramente cresciuto, ma non abbastanza quello politico istituzionale. Pensocomunque che il movimento antimafia in Italia abbia bisogno di nuove energie, nuove parole d’ordine, nuove pratiche perché, avendo rappresentato per tantissimi anni l’avanguardia della società, oggi sta un po’ arrancando e questa cosa determina una minore consapevolezza da parte dei cittadini e della politica. Dovrebbe fare un nuovo scatto, rigenerarsi, per diventare la parte più capace di guardare al futuro».