Un viaggio trascinante, viscerale e visionario dentro la capitale, da sempre emblema, nel bene e nel male, dell’intera nazione. Del grande Federico Fellini, è poco nota un’opera sorprendente e particolare, Roma (1972). Un film tutto giocato su immagini e visioni, che Pasolini indicò come il vero capolavoro del Maestro, oggi riscoperto grazie al saggio Fellini, Roma di Andrea Minuz, docente di Film&Media Studies all’Università La Sapienza, (Rubbettino, 2020), che ha pure firmato Viaggio al termine dell’Italia, Fellini politico (Rubbettino, 2012). Un lavoro che attinge a una vasta documentazione e a materiali d’archivio per un’analisi appassionata e appassionante sul film, sulla potenza trasfigurante e immaginifica del cinema felliniano, sullo stravolgimento fagocitante dei tempi. Ne parliamo con l’autore.
Com’è nata questa monografia?
Per il centenario della nascita di Fellini, com’era prevedibile, sono usciti molti libri. Con l’editore abbiamo pensato che sarebbe stato quindi interessante dedicarci a qualcosa di poco noto, non scontato. Roma è, in effetti, un film poco conosciuto, poco trattato, ma a mio avviso, soprattutto oggi, appare come uno dei capitoli più sorprendenti della sua opera. Un film in cui Fellini trova un equilibro pressoché perfetto tra la componente comico-grottesca – una cifra a mio avviso un po’ sottovalutata della sua opera – e la carica onirica, visionaria, che in Roma si tinge di aspetti lugubri, funerei, apocalittici.
Quali sono le peculiarità di Roma?
È un film senza star, la vera protagonista è Roma. La città è il filo conduttore unico e assoluto di una “narrazione” che procede per sequenze autonome, frantumando l’idea di storia già messa in crisi da La dolce vita. È un percorso anomalo, anche rispetto agli standard psichedelici cui il Fellini dei tardi anni Sessanta aveva abituato il suo pubblico. Un film che risultò un po’ “indigesto” a gran parte della critica del tempo e a molti spettatori, ma che oggi, a mio avviso, si impone come uno tra i titoli più esaltanti della filmografia felliniana.
Niente star, pochissimi dialoghi, immagini che si susseguono veloci: l’ingorgo sul Grande Raccordo Anulare, gli scavi della metropolitana, le rovine. Com’è questa Roma “frantumata” di Fellini?
Uno dei temi centrali dell’opera è la trasformazione urbanistica e sociale di Roma. Ma Fellini non la guarda certo da urbanista o da sociologo. Si lascia cullare dalle immagini, dai miti, dagli stereotipi di Roma. Ne coglie in particolare la dimensione da giungla, un posto in cui perdersi facilmente. Roma è una grande intuizione, non un teorema urbanistico. Fellini mette insieme una Roma post-apocalittica, quasi da fantascienza, insieme alla Roma dei suoi ricordi, che però sono i ricordi di una memoria e di un immaginario collettivi; per esempio, il mondo dell’avanspettacolo romano, il palcoscenico del vecchio “Ambra Jovinelli” che in Roma diventa il teatrino della Barafonda.
All’inizio si parlò di Roma come un documentario, Fellini stesso partì da un’idea di documentario.
Fellini giocava d’astuzia, e in questo caso ha giocato sull’idea di documentario, ma è andato assolutamente oltre. Roma è lontanissima da qualunque idea documentarista. Ci sono ricordi, immagini, visioni, tutto ciò che evoca Roma e l’idea di Roma come mito nazionale e archetipo della cultura occidentale. Per questo spettatori e critici, alla fine della proiezione, erano come spiazzati. Non c’era più la città gaudente de La dolce vita, ma la Roma degli anni ’70, capitale di un’Italia in grande e rapida trasformazione, che ormai si è lasciata il boom economico alle spalle. Tra le due opere sono trascorsi dieci anni intensi, di grande mutamento per l’intero Paese. Ancor più per Roma che cresce in maniera esponenziale, a dismisura, incapace però di inglobare la dimensione urbanistica e sociale di una metropoli. Visti oggi, i due film sembrano appartenere a due epoche diverse.
Nel libro viene citato Roma in cocci, romanzo di Vittorio Metz. È possibile che Fellini in qualche modo vi si sia ispirato?
Fellini viveva catturando fermenti e creatività attorno a sé. Osservava molto, leggeva molto. Difficile non conoscesse questo libro. Del resto, l’autore faceva parte di un progetto culturale importante dell’epoca, la storica rivista satirica Marc’Aurelio, pubblicazione che riprendeva e amplificava tutte le migliori espressioni artistiche di quel momento, di cui facevano parte anche Steno, Cesare Zavattini e molti altri nomi di rilievo. Fellini la conosceva bene. Ha in qualche modo costruito attorno a sé la leggenda dell’artista solitario ma, di fatto, ha saputo capitalizzare forse come nessun’altro le sinergie artistiche di quei tempi.
Che valore ha quest’opera di Fellini oggi?
Considero Roma un film ideale per avvicinare la fantasia felliniana da parte di chi oggi ha vent’anni, anzitutto perché è un film che in un certo senso si può vedere anche a pezzi su YouTube. Un film pensato e scritto per frammenti che oggi è perfetto per la rete. A mio avviso, Fellini non è abbastanza conosciuto oggi e, d’altro canto, tutto il cinema d’autore se la passa un po’ male. Se vogliamo fare un parallelismo, rispetto a Fellini, Pasolini è più “scolarizzabile”, più adatto in un certo senso alla cultura italiana e alla sua ideologia. Fellini invece è stato un irregolare, ha percorso vie inusuali, anomale, si è lasciato alle spalle il neorealismo e ha aperto una via “fantastica” al cinema italiano. Pasolini è il modello dell’intellettuale impegnato, solido, chiaro e coerente nel suo percorso, fino alla morte; mentre Fellini non è in alcun modo canonizzabile, perché l’unica etichetta che lo racchiude è il suo stesso aggettivo, “felliniano”. Fellini è Fellini. Universale e profondamente italiano. Il suo cinema, così diverso da quello che si produce oggi, può risultare affascinante ma anche incomprensibile, parlo soprattutto del Fellini che dopo La dolce vita abbandona l’idea di racconto, e poi con Roma rinuncia anche alla costruzione dei personaggi. Il centenario, che ora sta recuperando una serie di eventi saltati a causa del Covid, potrà essere un’occasione anche per fare il punto su queste cose e sui modi in cui si può rendere viva l’eredità del cinema di Fellini.
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