Da L’Opinione delle Libertà – 17 maggio 2012
Da anni l’editore Rubettino si è preso la briga di riportare (o pubblicare per la prima volta) sul mercato librario italiano quella cultura liberale “classica” (da Hayek a Bruno Leoni, passando per Popper, Polanyi, Kirzner e altri) che nel nostro paese, per mille motivi, ha stentato a circolare in tutto il secondo dopo guerra, emancipandola così dal circuito bibliotecario dove andava impolverandosi nella disattenzione generale.Da qualche settimana, poi, l’editore calabrese ha lanciato nelle librerie il primo volume di una nuova collana, “Piccola Biblioteca del Pensiero Occidentale”, curata dai professori Dario Antiseri e Silvano Tagliagambe. Tra i maggiori pensatori cattolici liberali il primo, filosofo della scienza il secondo. Il volume è un breve (o come si dovrebbe dire nelle recensioni: agile) libretto firmato da Joseph Alois Schumpeter, economista austriaco allievo del Bohm-Bawerk, a sua volta allievo di Carl Menger, il padre del marginalismo austriaco. Intitolata Come si studia la Scienza Sociale (142 pagine, 10 €), l’opera nasce – ci spiega lo stesso Antiseri nel saggio introduttivo – come un manualetto, concepito dal giovane professor Schumpeter per i suoi allievi dell’università di Czernowitz. Particolarmente interessante è la nota del curatore della traduzione, Enzo Grillo, una vera e propria accusa agli studi dell’opera schumpeteriana che hanno colpevolmente trascurato questo scritto, talvolta persino dimenticando di elencarlo nella bibliografia dell’economista austriaco, o, quando invece per puro caso se ne ricordava l’esistenza, sbagliandone il titolo.
Col suo lavoro, Grillo riesce a redimere i disattenti colleghi di studi schumpeteriani, convinto che il manualetto sia «indispensabile alla ricostruzione» del pensiero del suo autore. Difatti, nelle poche (44) paginette stese nel 1908, Schumpeter sintetizza il metodo che ogni studioso coscienzioso, e perciò egli stesso, dovrebbe adottare nell’affrontare lo studio delle scienze sociali. Le quali, ribadisce l’autore, sono per l’appunto e prima di tutto delle scienze. E scientifico deve essere perciò l’approccio verso esse, anche se questo può essere faticoso specialmente per un giovane studente, il quale – cent’anni fa come oggi – è scosso dai fremiti della passione politica più di un anziano professore: «Lo studio delle scienze sociali esige da noi un grosso sacrificio. Prima di varcare la loro soglia noi dobbiamo rinunciare a un pezzo del nostro io, e precisamente ai nostri ideali sociali, alle nostre vedute su ciò che e bene e desiderabile. Nessuna altra scienza esige da noi un desiderio come questo.
Di fronte alle leggi della natura, i nostri desideri ammutoliscono da sé» (p. 88). La scienza fisica non deve rispondere del se sia giusto o meno che la mela sia attratta a terra, allo stesso modo è inutile se non dannoso mischiare fatti e valori quando si analizzino le questioni economiche. «Così, per esempio, ai fini della questione “il lavoro è una merce?” è del tutto irrilevante chiedersi se ciò si accorda con la dignità dell’uomo. Se, per gli scopi di una certa ricerca, il lavoro si comporta come altri beni, se per esempio il suo prezzo s forma allo stesso modo, ciò e sufficiente e nessun argomento generale ci può togliere il diritto di considerare, ai fini di questa ricerca, il lavoro come un bene economico» (p. 103).
Schumpeter offre inoltre ai suoi studenti alcuni consigli sul come affrontare, nella pratica, lo studio dell’economia politica, o della sociologia, le maggiori tra le scienze sociali. Innanzitutto è necessario «imparare a pensare teoreticamente, [per poi] guardare all’insieme del materiale e cercarvi delle regolarità e dei nessi causali» (p. 86). Da dove viene però il materiale dal quale lo scienziato sociale trae i dati necessari a mettere alla prova la propria teoria? E quanto questo è affidabile? L’autore mette in guardia lo studente dall’affrontare ingenuamente ciò che gli offrono storici, etnologi e statistici, i quali «non solo riferiscono, ma danno anche una certa forma ai fatti, e così facendo i fatti stessi si trasformano nelle loro mani» (p. 81). Lo storico è spesso digiuno di teoria economica e sociologia e dunque «è facile che possa sbagliarsi, scambiando disinvoltamente sintomi per cause, e coincidenze casuali per nessi casuali» (81) così come lo statistico dà una certa interpretazione dei freddi dati anche solo adottando una certa metodologia di raccolta dei dati piuttosto che un’altra. Schumpeter non accusa questi tre generi di studiosi di essere dei corruttori intenzionali della realtà – anche se di essi ne esistono, e a bizzeffe. È consapevole che della realtà non si può mai «dare un’immagine precisa», essa è troppo complessa per essere capita, e ancora di più per essere genuinamente spiegata: «Le scienze sociali teoriche espongono solamente tendenze della realtà e mai la piena realtà stessa» (92). Questo testo va aggiunto all’importante contributo dato da Schumpeter allo studio delle scienze sociali in generale, e dell’economia in particolare. Egli fu un maestro consapevole della difficoltà di una scienza come quella economica, dal cui studio, scrive forse esagerando, «su cento studenti, novanta non ci ricavano nulla, ma proprio nulla». Una verità compresa da un altro grande maestro di cose economiche come Sergio Ricossa, che, in conclusione della sua ultima lezione tenutasi all’Università di Torino, si congedò dai suoi studenti chiedendo loro scusa «per avervi fatto perdere del tempo».
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