La dimensione territoriale della produttività delle imprese
a cura di Stefano Manzocchi, Beniamino Quintieri, Gianluca Santoni
da Il Sole 24 Ore del 24 Novembre
La lenta dinamica della produttività – cui si è aggiunta negli ultimi anni una disoccupazione a due cifre – è il principale problema economico italiano. Possiamo discutere di come distribuire meglio reddito e ricchezza, oppure di come riformare il rapporto tra settore pubblico e privato, ma senza un’inversione di tendenza della produttività si tratta di esercizi di corto respiro. Quella tendenza è stata assai deludente dopo il 2000: ad esempio, le imprese manifatturiere nazionali non hanno registrato, in media, incrementi di efficienza produttiva misurata in termini di produttività totale dei fattori (la Ptf, che è rimasta sostanzialmente invariata). A partire dal 2007, poi, si è assistito ad un peggioramento in coincidenza con la crisi globale.
Nonostante questo, la forza dell’industria italiana è tuttora rilevante e sui nostri territori vi sono elementi che possono contribuire al radicamento ed alla crescita delle imprese. Nel volume “Le cento Italie della competitività” abbiamo scandagliato le determinanti della produttività di 15mila imprese manifatturiere nell’ultimo decennio. Incrociando le performance aziendali con le variabili del contesto provinciale nel quale le imprese operano, troviamo che alcuni fattori spiegano una parte significativa del livello di produttività medio delle imprese. Quattro variabili “sistemiche” sono particolarmente significative: la qualità del capitale umano, lo sviluppo del sistema finanziario locale, le infrastrutture di trasporto, il tasso dì criminalità. Nel complesso, questi fattori di contesto spiegano circa il 10 per cento dei divari di produttività industriale media tra Province diverse, a parità di dimensione e di età delle aziende.
Col benchmark dei territori più “competitivi” e a parità di caratterastiche interne delle imprese, abbiamo realizzato un ranking delle Province più e meno “accoglienti” per l’industria. In quelle in testa alla classifica, le imprese trovano nei fattori esterni un contributo alla produttività superiore alla media; in quelle in basso in classifica, è invece alto il potenziale per colmare il gap di produttività migliorando gli elementi di contesto. L’esercizio si può condurre sia in aggregato sia per i diversi comparti manifatturieri, che mostrano vantaggi competitivi molto differenziati a seconda del territorio di insediamento delle imprese.
Capitale umano, qualità delle istituzioni, tasso di criminalità, modelli di governance: il capitale immateriale appare sempre più decisivo per la sorte dei territori di insediamento industriale. Questa dimensione dello sviluppo associata con l’efficienza del sistema finanziario e la disponibilità di credito marca le differenze principali tra la competitività dei territori italiani, anche più delle infrastrutture materiali. Ad esempio, non è tanto la spesa aggregata in Ricerca e Sviluppo che divide il Paese, ma quella delle imprese: quest’ultima è decisiva per la crescita dimensionale, la diversificazione industriale, l’attrazione di nuove aziende sul territorio. Non è strano che questa si concentri laddove le imprese sono più presenti, ma è altresì necessario che questa spesa per l’innovazione si combini con il “fattore umano”: alti tassi di scolarizzazione, più diplomati e laureati nelle discipline che l’industria richiede.
È proprio in termini di capitale immateriale che gli agglomerati urbani hanno dimostrato nel decennio passato una vitalità economica superiore a quella dei distretti tradizionali: le imprese operanti in aree urbane, a parità di altre condizioni, hanno registrato una dinamica della produttività superiore di circa il 7% alla media nazionale. Nessun effetto significativo si riscontra invece per l’appartenenza ad uno dei tradizionali distretti: sono le aree con un elevato livello di urbanizzazione che nell’ultimo decennio registrano le migliori dinamiche della produttività, riconducibili ad una miglior composizione della forza lavoro e ad una maggiore capacità innovativa. Le nostre città – insomma – sembrano meglio in grado in media di offrire competenze, servizi specializzati alle imprese, innovazione, su cui solo si possono fondare crescita, benessere e inclusione sociale nel Terzo Millennio.
Il potenziale di recupero della produttività nelle province arretrate è molto rilevante in termini di efficienza interna, di elementi di contesto, di radicamento ed espansione della base produttiva. Per i policy maker, a livello centrale o locale, si tratta di considerare le imprese industriali come “mobili”, e di coltivare quelle condizioni territoriali e quei comportamenti che ne favoriscono la tenuta, la competitività e l’attrazione. Approfittando, magari, dei 30 miliardi circa di Fondi strutturali che spettano all’Italia da qui al 2020.
di Stefano Manzocchi e Beniamino Quintieri
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