Alex Bardascino, Luciano Curreri
Non di sola destraSei "solisti" della Repubblica delle lettere (1953-1986)
Alex Bardascino, Luciano Curreri, “Non di sola destra”. Nota introduttiva di Luciano Curreri
[E’ appena uscito per Rubbettino editore, Non di sola destra di Alex Bardascino e Luciano Curreri. Per gentile concessione dell’editore, presentiamo la nota introduttiva di Luciano Curreri (f.s.)]
Alex Bardascino, Luciano Curreri, Non di sola destra, Rubbettino Editore, 2022, pp.114, €12,00
Nota introduttiva di Luciano Curreri
La Repubblica e la Repubblica delle lettere del secondo dopoguerra hanno come minimo comun denominatore l’antifascismo. L’impegno civile e letterario di quest’ultima e vincente istanza plurale (che tiene insieme tutti i «no» al fascismo, dai liberali ai comunisti, dai prigionieri ai partigiani) ha dato vita a una cultura che ha saputo esprimere momenti e pagine indimenticabili, che anche gli autori di questo librino hanno letto e in parte studiato, a volte insieme e pure di recente, con l’idea di mettere a confronto due generazioni diverse di lettori, una risalente al 1966 (Luciano Curreri) e l’altra al 1988 (Alex Bardascino)1.
Nella seconda metà del Novecento, non scompaiono tuttavia le ‘narrazioni di destra’. E nel nostro libro, se ne sono selezionate sei, di tali ‘narrazioni’, ottenendo una (non sporca) mezza dozzina di autori e testi che in circa 35 anni di vita repubblicana, tra il 1953 e il 1986, ‘rivendicano’, secondo modalità differenti, una certa adesione al fascismo e quanto meno un certo ritorno inquieto al Ventennio e alla Repubblica Sociale Italiana: ritorno generazionale e plurigenerazionale insieme (ma non senza fratture, fra, per esempio, i giovanissimi e convinti repubblichini di Mazzantini e quanto appare loro, nel secondo dopoguerra, come «“la teppaglia nera”»2).
A partire da questi sei ‘solisti’, si è capito, ancora una volta, che non sono mai facili da affrontare una qualche più o meno ingenua adesione al fascismo e un sempre scomodo ritorno dell’epoca sua, checché se ne dica e se ne pensi in un presente che sdogana mode e finanche attenzionipoliticamente e culturalmente corrette, salvo poi arroccarsi in una spece di ‘ecologia etica’ e di ben altra selezione preventiva nutrita, tutta tesa (o quasi) al silenziamento di alcuni autori e testi.
In effetti, da Giose Rimanelli (1925-2018) a Carlo Mazzantini (1925-2006), passando per Giuseppe Berto (1914-1978), Ruggero Zangrandi (1915-1970), Dante Virgili (1928-1992) e Giulio Salierno (1935-2006), la ‘narrazione filofascista’ edita nel periodo della Prima Repubblica appare ancora oggi come un tabù letterario e ‘saggiarla’ sembra quasi un tentativo di revisione storica bollato tanto dal pubblico quanto stigmatizzato dalla critica. Quando invece, cercare di avvicinare e leggere questi scritti – che mettono al centro la storia di una generazione pregna di immagini e idee del Ventennio, tese a concretarsi in quell’adesione che si esplicita in seno alle milizie dei volontari fascisti, alle truppe della Repubblica Sociale Italiana, e poi, via altre generazioni, ai movimenti sovversivi dell’estrema destra repubblicana – discopre un mondo di cui bisogna tener conto, oggi forse più di ieri, per interrogare e provare a capire un non banale ritorno del fascismo3, che non è solo più una moda, un fondale, come, diciamocelo, per tanta narrativa italiana (di genere e non solo) a cavallo di ‘epici’ anni Novanta e Duemila.
Inoltre, i sei ‘solisti’ non sono soli. Fin dall’inizio, tengono loro ‘compagnia’, secondo modalità diverse e diversamente distese, altre presenze più o meno note, tra storia, politica e letteratura: da Giorgio Almirante (1914-1988) a Giorgio Soavi (1923-2008), da Giorgio Vecchiato (1925) a Roberto Vivarelli (1929-2014), a figure di generazioni più vicine, come Pietro Neglie (1958) e Gabriele Marconi (1961); e senza dimenticare un, anzi l’‘ideologo’, Julius Evola (1898-1974), «a destra del fascismo»4.
È normale che sia così ed è normale parlare di ‘compagnia’, in senso traslato e più largo, più che di filiazione o altro, perché i nostri sei ‘solisti’ non si limitano a una ‘narrazione’ e a un narrato puramente autobiografico, che è comunque il minimo comun denominatore delle singole, variegate esperienze (talora presentate anche con taglio saggistico, e tese a una sorta di ‘narrato-saggistico’ su cui torneremo). La vicenda autobiografica, discussa non a caso in più di un capitolo e specialmente in quello dedicato a Salierno, segna piuttosto l’avvio di un percorso all’interno del fascismo e/o nella sua più o meno sommersa scia, sempre comunque nella Storia con la S maiuscola: in una Storia che racconta in particolare sconfitte, fughe, disillusioni, crolli di ideali e di interi sistemi, ma anche resistenze, rivendicazioni e ripartenze, o ripensamenti, critiche e conversioni, redenzioni, ricostruzioni.
Forse, allora, consacrare la propria vita alla lotta – sia essa armata o meno – e narrare schierandosi consapevolmente dalla ‘parte sbagliata’ sono emanazioni di una sottintesa volontà (quasi una necessità vitale, in realtà) di ‘fare controstoria’, senza scadere nel revisionismo. In effetti, ‘fare controstoria’ non è sinonimo più o meno immediato di operare un mero e becero revisionismo, né tanto meno significa avere la presunzione di riscrivere le pagine dei manuali per smentire episodi più o meno noti della vita nazionale. Ecco, ‘fare controstoria’ significa, per noi, adottare una prospettiva un po’ diversa, anche se certamente scomoda; significa cercare di illuminare le zone d’ombra di una coscienza estesa, popolare e non solo individuale; significa riaprire una ferita per disinfettarla e magari provare a sanarla prima che si incancrenisca, e del tutto. Ed è solo cogliendo tale invito che si possono, sfumando preconcetti e scontate logiche aprioristiche, tentare di avvicinare di nuovo i testi presi in esame e descriverne il loro essere non di sola destra, pur sapendo che «destra» non si risolve tout court in «fascismo» (o in «destra nazionale») e pur rivivendo di fatto episodi della guerra civile italiana (1943-1945) e stagioni dei movimenti sovversivi dell’estrema destra nel nostro paese, al tempo della Prima Repubblica.
Altro minimo comun denominatore (eccezion fatta per La distruzione di Dante Virgili, certamente il testo più sfuggente) è una più o meno celata ‘richiesta’, da parte degli autori, di comprensione, di indulgenza e infine e finanche di un certo perdono. Sebbene possa suonare alquanto provocatoria, tale ‘richiesta’, specie se consideriamo, in alcuni casi, l’assenza di un vero e proprio ripensamento e in altri, addirittura, una rivendicazione (pure argomentata), non crediamo sia giusto non tenerne conto in assoluto e non tenere conto di quel complesso contesto socio-politico in cui si svolgono le diverse vicende biografiche di tanti giovanissimi, al fine di dirne, problematicamente, quanto scontato e naturale fosse per molti rifiutare il tradimento del re e degli italiani e aderire ancora all’associazionismo fascista, alle milizie volontarie della RSI o ad alcuni movimenti armati nel dopoguerra. Quel che è più interessante, poi, è che questa ‘richiesta’ non è mai propriamente relativa alla (a una) storia individuale: l’autore, forte di una esperienza condivisa, si fa sempre portavoce di un’istanza collettiva, di un «noi». In effetti, se la vicenda autobiografica ha tutte le sue ragioni, il «noi» raggiunto tramite quella partecipata, condivisa esperienza, non è mai solo una specie di formula, di pluralis maiestatis. E non è neppure un’istanza di rimozione (anche quando lo sembra di più), bensì di più o meno avvertita pacificazione, quasi di convivenza tra ‘giusti’ e ‘sbagliati’, ovvero tra, come si dice in genere, vincitori e vinti.
Che siffatte richieste e istanze siano rimaste in una sorta di ‘pausa’ della ricezione critica dopo una parziale e intermittente accoglienza (anche di buon livello editoriale) nell’ambito letterario del più o meno immediato secondo dopoguerra, è storia: si pensi per esempio alla vicenda di Il lungo viaggio attraverso il fascismo di Ruggero Zangrandi, testo apparso «in più stringata stesura alla fine del ’47», da Einaudi, con «buona accoglienza dalla critica e un certo successo di pubblico» ma già praticamente scomparso nel 1948, per poi essere ampliato con «una serie di appendici» non alteranti la «narrazione»5 e ripubblicato da Feltrinelli quindici anni dopo, in seno a «polemiche a non finire»6. Ma anche a Giose Rimanelli non va meglio: il suo Tiro al piccione, pubblicato da Mondadori nel 1953 – nello stesso anno in edizione non autorizzata presso Trevi – e poi riapparso a cadenza ventennale più o meno nascosta (1974, Trevi, e 1991, Einaudi), è oggi disponibile, nel 2022 in cui scriviamo, grazie al nostro editore, a Rubbettino. Relativamente meglio va a Giuseppe Berto, Guerra in camicia nera, uscito nel 1955 da Garzanti dopo diversi rifiuti (Einaudi in primis), e poi ricomparso dodici anni dopo sempre per Garzanti prima dell’edizione Marsilio in occasione del trentennale (1985); ed è sempre Marsilio a permettere un nuovo approdo a A cercar la bella morte di Mazzantini, la cui prima uscita, per Mondadori, è del 1986, mentre la seconda, da Marsilio, per l’appunto, è del 1995. Senza parlare, infine, del caso di La distruzione di Dante Virgili e dell’Autobiografia di un picchiatore fascista di Giulio Salierno, pubblicati rispettivamente nel 1970, da Mondadori, e nel 1976, da Einaudi; entrambi non vedranno nuove edizioni prima degli anni Duemila.
In effetti, anche attraverso la svolta politica di Alleanza Nazionale, ‘erede’ del MSI, imposta da Gianfranco Fini a metà degli anni Novanta, col fascismo che ritorna al governo nelle note coalizioni con Bossi (Lega Nord) e Berlusconi (Forza Italia), all’alba del XXI secolo sembra riaffiorare – anche via un certo ritorno narrativo più generale del fascismo storico negli anni Novanta (compreso comunque il Mazzantini sopra citato) – un interesse per almeno quattro dei nostri sei ‘solisti’ (l’eccezione relativamente vistosa, stavolta, è quella di Zangrandi, che però non cade lontano dal ‘nuovo’ paniere cronologico degli anni Duemila essendo rilanciato da Mursia nel 1998): nell’ultimo ventennio, PeQuod (2003) e il Saggiatore (2016) rifanno Virgili, Minimum Fax (2008) ripropone Salierno, Rubbettino (2022) ripubblica, lo si diceva, Rimanelli, e Neri Pozza (2020) ristampa Berto.
Certo – quasi inutile dirlo ma sempre bene ripeterlo – quegli anni Novanta sono ‘aperti’ dalla caduta del muro di Berlino, nel novembre del 1989, e sono accompagnati fino al decennio successivo, dall’uscita e dal successo di un libro importante, un vero ripensamento della nostra Resistenza e del rapporto tra politica ed etica nella Storia: Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, uscito da Bollati Boringhieri in prima edizione nella collana «Nuova Cultura» nel 1991, poi nella collana «Gli Archi» nel 1994, con – e qui ci fermiamo – non casuale ristampa del dicembre 2000. Ma le strade di un tal cambiamento non si riducono certo a un paio di rappels di questo tipo: uno, peraltro, di importanza mondiale, l’altro, al limite, di sol interesse nazionale, che tuttavia è il nostro terreno d’indagine ed è d’una complessità non banale per tutta la vita della Prima Repubblica italiana e non solo verso la fine della stessa – via Tangentopoli e tanto altro – a inizio anni Novanta. Se pensiamo anche solo ai distratti e distraenti anni Ottanta7, un po’ prima della loro chiusa clamorosa qui sopra evocata, già in quel 1983 in cui Bettino Craxi è chiamato a formare il governo, non è insensato ricordare che il leader socialista apre le consultazioni anche al MSI di Giorgio Almirante e che tale scelta pare ai più, nonostante le tante critiche (dal PCI e non solo), ‘in linea coi tempi’ (magari con un pensiero a quelli già attraversati dal Mussolini che si era sporto talmente a sinistra da cadere a destra, potremmo dire riciclando una battuta cattiva di Stalin su Trockij). E dopo soli quattro anni, quei tempi permettono ad Almirante di evocare Craxi come un «ducetto», in televisione8. Bref, più che rompere la nota prassi dell’arco costituzionale, la scelta craxiana fa venire giù, a Roma, una sorta di parete simbolica, prima del crollo materiale (e immaginario) del muro di Berlino.
Di più: il «ducetto» Craxi raccoglie voti anche dal serbatoio del MSI. Forse se ne ricorderà Berlusconi, altro «ducetto» in odor di ‘discepolato’ craxiano, quando ruberà tutta la ‘nuova’ destra a Fini nel 2010 per nutrire Il Popolo della Libertà. Ma già a inizio nuovo secolo e millennio e subito dopo l’anno evocato si registrano titoli clamorosi, nella loro plastica evidenza, come La notte della demo- crazia italiana. Dal regime fascista al governo Berlusconi (2003) e Berlusconismo e fascismo (2011)9. Insomma, si ha ancora l’impressione che il mondo politico e culturale che pensa sia ‘a sinistra’ e registri queste vicissitudini ‘solo da sinistra’. E tuttavia, il ‘ritorno’ di certi autori e testi è sospinto pure dalle stesse vicissitudini politiche, da interrogativi storici ed etici non nuovi ma che giungono ad occupare pian piano le devant de la scène. Pian piano vuol anche dire che una sempre più diffusa ed estesa inversione di tendenza, in termini culturali, guadagna, più o meno carsicamente, nel giro di trent’anni, un certo prestigio a quella «cultura delle destre» di cui dava una sua ricostruzione Gabriele Turi, nel 201310; in seno a una tendenza, sempre più marcata nei gruppi culturali di destra, di porsi come alternativa all’egemone cultura di sinistra della Prima Repubblica, facendo leva – e non è certo casuale nel Ventennio berlusconiano – sull’arricchimento personale e sul culto della logica consumistica, ma pure sulla diffidenza nei confronti del diverso – i già primo-ottocenteschi e mai scomparsi «spettri dell’altro»11 – e sulla difesa della famiglia tradizionale e della cultura cattolica. Forse, opporvisi ‘solo da sinistra’ senza cogliere un portato non di sola destra è stato il fattore (l’errore?) che ha fatto dei libri sui «vinti» (tra saggi, romanzi e ‘cicli’, si tratta di decine di volumi anche ‘stravenduti’, specie tra i primi anni Novanta e il 2003 di Il sangue dei vinti. Quel che accadde in Italia dopo il 25 aprile) di Giampaolo Pansa (1935-2020) un meno patinato (meno intelligente?) ma più condiviso «desiderio di essere come tutti» – il titolo di Francesco Piccolo (1964) è del 2013 – tra lunga «crisi dell’antifascismo» e fortuna, altrettanto lunga, del tema vittimario.
Sempre secondo Turi, l’esperienza dei vari (svariati) governi Berlusconi ha gettato le basi per ridiscutere – e probabilmente minare – le basi della democrazia antifascista italiana, ovvero per sminuire la Resistenza dei ‘vincitori’, facendole cambiare di segno ma senza dirla altrimenti. In effetti, dopo la ‘standardizzazione’ degli Ottanta, nel nuovo linguaggio per cui optano i Novanta e i decenni successivi del nuovo secolo e millennio, non si è mai trattato di affrontare la complessità di un periodo storico ma solo di cambiare di segno allo stesso, cioè di farlo passare da ‘positivo’ a ‘negativo’. Il successo della Storia (in libreria, in tv, sul web) che supera la critica è, sempre più, di questo tipo e più che il dialogo cerca e fomenta la lotta: perché si vuole abbattere il nemico (la scuola comune in tal senso, alla fine della fiera, è quella della sini- stra ma fa lo stesso): perché si vuole contrastare in ogni ambiente della vita socio-culturale (dalla scuola alla fabbrica, ma nessuno va più a scuola o in fabbrica, visto che il trasferimento in massa di politici e intellettuali riguarda la televisione) il potere – vero o presunto –- di certe élites di sinistra. E si tratta – specie in seno alle vicende editoriali dei ‘solisti’ cui sopra si accennava – di un’ege- monia culturale, quella antifascista (peraltro non di sola sinistra o di sinistra tout court), che spesso ha operato per delegittimare e/o censurare attraverso un netto rifiuto (un netto rifiuto – lo si dice in parentesi e en passant ma lo si dice – che ai nostri giorni colpisce un poco come colpivano le leggi ad personam di Silvio Berlusconi, al cui ‘magistero’ la destra italiana è non casualmente sopravvissuta frequentando ‘stacchi’ meno netti e più propositivi, oggi invece di nuovo marcati e ‘oppositivi’).
Ecco perché tutti i ‘solisti’, in un modo o nell’altro (salvo, in parte, Salierno, convertitosi in carcere al marxismo, si legge sempre, ma non solo di marxismo si tratta), finiranno nel mirino della critica (militante?) e si troveranno a dover percorrere una strada assai ricca di ostacoli e di incomprensioni.
Dopo l’assedio, il ritorno, fatto di ostacoli e di incomprensioni: è nel ‘dna’ di chi ha fatto la guerra in Occidente (e in quell’Occidente che è anche sempre stato, fin dall’inizio, un Oriente dilatato) e al suo immaginario è confitto, come vincitore e/o vinto, quasi come se il ruolo fosse interscambiabile (dell’eroe come dello spazio). Un ‘ritorno’ che finisce per essere l’inizio di un nuovo percorso, non privo di ‘Ulissi’ feriti al tallone, come tanti ‘Achilli’ redivivi, eroi che sono moderni perché riescono a tenere insieme il ‘doppio’ mito omerico e, in un certo senso almeno, una più recente apocalisse di ‘morti viventi’: i «mai morti» di Carlo Mazzantini13, se vogliamo.
C’è il passato, la ‘tradizione’, ricordava qualcuno citando Evola, ma poi c’è la moda (anche il fantasy e la fantasia della moda). La cultura di destra, forte di un’identità più inclusiva e partecipata rispetto al passato, fa ancor più sovente capolino nel mondo letterario, tra uno ieri ravvicinato (quasi sempre) con polemiche e un oggi che vuole vendere ciò che meglio si vende sul nostro mercato librario almeno (ma l’estero non è differente né più attento e avvertito, come sovente crediamo, per un nostro assurdo senso di inferiorità rispetto ad altri popoli europei che sono sempre più, anch’essi, ‘dotati’ di una certa ignoranza, proprio come noi; e tuttavia, se proviamo ad evolverci, accettando anche solo il rischio di essere davvero due – in questa operazione non più del tutto naturale – e di appartenere a due generazioni diverse, è possibile non tanto continuare a sfatare l’eclisse della cultura14 – cioè dell’umanità – quanto sfumare l’ignoranza e magari coglierne quell’attenuarsi che non produce canone e capitale culturale ma inquietudine, movimento, staffetta: insomma non puoi stare a sindacare su come ti viene passato il testimone, l’importante è afferrarlo al volo e partecipare alla corsa per il ‘tuo’ spazio-tempo e se tale dinamismo sarà più o meno promettente saranno poi gli altri, a dirlo, quando e se ne saranno intenzionati, anche solo per non interpretare il ruolo degli ‘alieni’ tutta la vita).
Per cui, per ‘non concludere’ questa breve Nota introduttiva (ma con l’idea, forse vana, di aver davvero parcamente introdotto) e senza voler entrare, per esempio, nel merito della polemica tra Mary de Rachewiltz e CasaPound, possiamo anche solo ricordare che è comunque e proprio il cognome del poeta statunitense a dare il nome alla più strutturata associazione neofascista italiana; e poi magari possiamo citare Atreju, ovvero la maggiore manifestazione culturale organizzata da Gioventù Nazionale, che prende il nome dal protagonista di La storia infinita di Michael Ende (e tacendo dei famosi Campi Hobbit); ma se arriviamo davvero al presente (o quasi) come facciamo a non evocare M. Il figlio del secolo di Anto- nio Scurati (1969), cioè il primo volume di una trilogia annunciata, già vincitore del premio Strega 2019, dedicato «a chi ha combattuto il fascismo» durante la stessa premiazione ma suscitatore di polemiche e critiche – Ernesto Galli Della Loggia (1942) in testa – per la più che approssimativa ricerca storica15?
Cosa vogliamo dire? Forse, semplicemente, che i nostri sei ‘solisti’ della Repubblica delle lettere non sono ‘soli’, che non lo sono mai stati e mai lo saranno (anche se per noi hanno avuto comunque un po’ il sapore di una entrée en matière ‘minore’)16. Il nostro chiamarli, con tanto di apici per di più, ‘solisti’ è un modo per prenderli comunque con le pinze, ovvero anche per ‘rispettarli’ e per dire, fin dal titolo, che qui si punta, in seno a una certa libertà ma anche a una certa umiltà, su approssimazioni, (ri-)letture, tentativi di avvicinamento, approcci, sparsi «appunti e riflessioni» sciolte (di natura metaletteria, certo, non disgiunta da una ispirazione mimetica non massificata e tuttavia non senza l’ovvio rischio di restare quasi nudi alla meta…) e finanche rincorse all’indietro (per spiccare qualche salto in lungo nel nostro passato).
NOTE
1. Si scorra in tal senso A. Bardascino, L. Curreri, 100 anni di Mario Rigoni Stern. Intergenerazionali consegne del testimone tra saggio e racconto, Mimesis, Milano-Udine 2021. Per letture individuali cfr. almeno un paio di esempi in L. Curreri, Le farfalle di Madrid. L’antimonio, i narratori italiani e la guerra civile spagnola, Bulzoni, Roma 2007 (tr. sp. Prensas Universitarias de Zaragoza, Zaragoza 2009) e A. Bardascino, «Il ricordo pietoso dei vinti»: impegno e reali- smo in I fatti di Casignana. Un’approssimazione a Mario La Cava, Nerosubianco, Cuneo 2016. A parte, forse, specie per ricordare quella ricezione che ha pensato a un’operazione ridanciana e revisionista, quando si tratta invece di lavoro davvero serio (e fin troppo, se consideriamo i diversi plagi accademici cui è andato incon– tro, ma anche le tante recensioni positive), segnaliamo L. Curreri (a cura di), Pinocchio in camicia nera. Quattro pinocchiate fasciste, Nerosubianco, Cuneo 2008 e ivi, seconda edizione corretta e con l’aggiunta di una nuova Postfazione, 2011.
2. C. Mazzantini, A cercar la bella morte, Mondadori, Milano 1986 e Mar– silio, Venezia 1995, p. 192: «In giro ormai non ti imbattevi più che in quelli di estrazione poveraccia “la teppaglia nera”. Qualche volta ne ospitavi uno in casa, su un materasso disteso per terra: se ne andavano al mattino dopo averti magari rubato una suppellettile, un lenzuolo».
3. Si veda L. Curreri, F. Foni (a cura di), Fascismo senza fascismo? Indovini e revenants nella cultura popolare italiana (1899-1919 e 1989-2009), Nerosubianco, Cuneo 2011, con interventi di Pietro Benzoni, Willy Burguet, Daniele Comberiati, Luciano Curreri, Fabrizio Foni, Claudio Gigante, Gian Paolo Giudicetti, Sabina Gola, Monica Jansen, Giulio Leoni, Carlo Lo Presti, Fulvio Orsitto, Giuseppe Palumbo e Action 30, Giuseppe Papponetti, Luca Scarlini, Michela Toppano, Gianni Turchetta, Maria Elena Versari, Alessandro Viti.
4. Cfr. F. Cassata, A destra del fascismo. Profilo politico di Julius Evola, Bollati Boringhieri, Torino 2003, per cui si veda in particolare il capitolo 10, Evola fra Movimento Sociale Italiano e Destra radicale (1949-1974), alle pp. 321-354, con due paragrafi dedicati a Per una definizione di Destra e a Evola e il neofascismo.
5. Cfr. R. Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo. Contributo alla storia di una generazione, Einaudi, Torino 1947; Feltrinelli, Milano 1962 e «Uni- versale Economica», ivi 1963, p. 5.
6. Come scrisse P. Alatri, Lungo viaggio attraverso il fascismo, in «Belfagor», 4, 1962, pp. 470-476, p. 470.
7. Il che non significa «operare cesure, spesso arbitrarie, tra questi [i fatti di quel decennio] e la realtà di oggi, di cui molti aspetti degli anni Ottanta sono la radice». Per quanto lo faccia rapidamente, la nostra Nota introduttiva cerca, potremmo dire scherzando (ma non troppo) un filo ‘rosso’ che si sta facendo ‘nero’. Ma cfr., per la citazione precedente qui in nota, S. Dalmasso (a cura di), Cosa resterà di questi anni ’80?, in «Il presente e la storia. Rivista dell’ Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Cuneo», 62, 2002, pp. 21-175, p. 22. Per un confronto con la ricezione d’oltralpe, anco– ra importante in quegli anni, si veda invece F. Cusset, La décennie. Le grand cauchemar des années 1980, La Découverte, Paris 2006 e La Découverte/Poche, ivi 2008. Da un punto di vista ‘mixato’ e plurale che sembra quasi situarsi in quel mezzo ma successivamente, ricordiamo (infine e si fa per dire) B. Aiosa- Poirier, L. Casalino (a cura di), Les années quatre-vingt et le cas italien, in «Cahiers d’études italiennes. Novecento… e dintorni», 14, 2012, chiuso da una Cronologia degli anni ’80 in Italia di Leonardo Casalino alle pp. 257-272 (ora in OpenEdition: https://journals.openedition.org/cei/294).
8. Pensiamo a un confronto televisivo con Gianni Minoli, a «Mixer notte», il 29 aprile del 1987, in un «Faccia a faccia» che oggi si può rivedere facilmente in rete (per cui cfr. https://www.youtube.com/watch?v=BNvs7c2iEZI). Lo citeremo ancora nel capitolo dedicato a Giulio Salierno.
9. G. Santomassimo (a cura di), La notte della democrazia italiana. Dal re- gime fascista al governo Berlusconi, il Saggiatore, Milano 2003, con interventi di Percy Allum, Michela Battini, Enzo Collotti, Giovanni De Luna, Paul Ginsborg, Giovanni Gozzini, Gianpasquale Santomassimo, Luciano Segreto, Nicola Tran- faglia, Gabriele Turi, Stuart Woolf; Berlusconismo e fascismo, due volumi di «MicroMega», 1 e 2, 2011, con interventi, in 1, di Flores d’Arcais, mons. Nogaro, Camilleri, Aspesi, Travaglio, Caselli, Pagani, d’Eramo, Rivera, Barbacetto, Pellizzetti, Ostellino, Robecchi, Staino, Bucchi, Mannelli, De Lorenzis, e in 2, di Hack, Scalfari, Rossanda, D’Alema, Spinelli, Veltroni, Travaglio, Colombo, Bersani, Chiamparino, Padellaro, Pardi, Di Pietro, Mauro, Cofferati, Cremaschi, de Magistris, Gallino, Vendola, Fo, d’Orsi, Canova, Caldiron, Russo Spena, Carlini, Petrini, Bonaccorsi, Erbani, Guzzo, Ricoveri, Bartezzaghi, Robecchi, Hessel, Bauman, Savater, Cercas, Touraine, Cohn-Bendit, Marías, Ali, Lilla, Ben Jelloun, Levy, Daniel, D’Agostino, De Monticelli. In quel mezzo, al di là di questi due (ma, in realtà, tre) densi collettivi, tanti sono gli instant book (veri o presunti) che escono, oscillando sovente tra dialoghi e interviste, come, solo per fare un esempio, quello di G. Fasanella, G. Pellegrino, La guerra civile, BUR, Milano 2005 (la collana è «FUTUROPASSATO» e lo ‘strillo’ promozionale in copertina sintetizza, si chiede e recita: «Da Salò a Berlusconi. Perché in Italia la guerra fredda non si è ancora conclusa? I protagonisti e le storie di uno scontro che dura da più di sessent’anni»). Contraltare e complemento storico (e profilo non disgiunto dall’oggi, tra nuovi orientamenti storiografici e coscienza attuale dello studioso) di queste operazioni è, solo per fare un esempio più che evidente, E. Gentile, Il fascismo in tre capitoli, Laterza, Roma-Bari 2004.
10. G. Turi, La cultura delle destre. Alla ricerca dell’egemonia culturale in Italia, Bollati Boringhieri, Torino 2013.
11. Cfr. R. Bonavita, Spettri dell’altro. Letteratura e razzismo nell’Italia con- temporanea, Prefazione di Andrea Battistini, il Mulino, Bologna 2010.
12. Per Pansa si veda almeno G. Corni, Fascismo. Condanne e revisioni, Sa- lerno, Roma 2011, pp. 92-96 (ma cfr. la recensione di L. Curreri su «domani. arcoiris.tv» del 17 novembre 2011: http://domani.arcoiris.tv/il-fascismo-e-stato- e-rimane-antisemita-e-razzista-non-date-retta-alla-bugia-italiani-brava-gente/). Cfr. poi F. Piccolo, Il desiderio di essere come tutti, Einaudi, Torino 2013; F. M. Biscione, Il sommerso della Repubblica. La democrazia italiana e la crisi dell’an- tifascismo, Bollati Boringhieri, Torino 2003; D. Giglioli, Critica della vittima, Nottetempo, Milano 2014.
13. C. Mazzantini, A cercar la bella morte, cit., pp. 98 e 158.
14. Il tema è vastissimo e ha vastissima bibliografia, che pare continui a ven- dere. Un esempio nella particolare proposta italiana (a partire dalla traduzione e scelta del titolo) dell’«ultimo libro di uno dei più grandi intellettuali del No- vecento», nato nel 1917 e morto nel 2012: E. Hobsbawn, La fine della cultura. Saggio su un secolo in crisi di identità, Rizzoli, Milano 2013. Noi preferiamo gli input di F. Brevini, Un cerino nel buio. Come la cultura sopravvive a barbari e antibarbari, Bollati Boringhieri, Torino 1998.
15. Cfr. E. Galli Della Loggia, «M» di Antonio Scurati, il romanzo che ritocca la storia, «Corriere della Sera», 13 ottobre 2018 (https://www.corriere.it/cultu-ra/18_ottobre_13/m-antonio-scurati-romanzo-che-ritocca-la-storia-1055c170- cf09-11e8-a416-b8065213a278.shtml).
16. Si scorra L. Curreri, Figli di un testo minore. Ovvero della busta al posto del setaccio e di altre curiose, forse non del tutto inutili, amenità e vecchiate anticipate, in Id., G. Traina (a cura di), Studi in onore di Giuseppe Papponetti, Nerosubian- co, Cuneo 2013, pp. 112-123. Lo si può leggere online integralmente a questo indirizzo: https://orbi.uliege.be/bitstream/2268/173165/1/FigliTestoMinore.pdf