Da Avvenire del 22 marzo
Domenico Gabriele, detto Dodò, ragazzino crotonese di quasi 11 anni, giocava a calcetto col papà la sera del 25 giugno 2009, quando fu ferito a morte dalla lupara di un sicario di ‘ndrangheta, che stava sparando a un altro giocatore. Nicola Campolongo, di Cassano allo Jonio (Cosenza), detto Cocò, aveva solo 3 anni quando, il 25 gennaio 2014, scomparve insieme al nonno Peppe e alla 27enne Ibtissam, tutti uccisi e poi carbonizzati nella Fiat Punto in cui viaggiavano. Invece, Andrea Savoca aveva 4 anni quando, nel 1991 a Palermo, un killer di cosa nostra sparò al padre Giuseppe, uccidendo anche lui. Sono alcune delle 108 storie di giovanissime vittime di mafia, raccontate nel saggio «Al posto sbagliato» (Rubbettino), del giornalista calabrese Bruno Palermo. Un libro toccante e prezioso, perché aggiunge un altro mattone al muro della memoria, civile e morale, sui misfatti delle organizzazioni mafiose. A partire dal titolo, ispirato dalle parole dei genitori di Dodò, Francesca e Giovanni, che (amareggiati dal luogo comune di cronaca, secondo cui si muore perché ci si trova per sbaglio in mezzo ai proiettili) osservano: «Non c’è un posto sbagliato» né un momento sbagliato «per una vittima innocente», perché «al posto sbagliato ci sono sempre gli assassini, i mafiosi, i criminali».
Il libro demolisce una volta di più il mito menzognero, autocostruito dalle stesse mafie, degli “uomini d’onore” che non toccano donne e bambini: «Non è vero e non lo è mai stato – argomenta Palermo Che onore c’è nel prendere una bambina di due mesi e sbatterla contro un muro» o nello «strangolare, sciogliere nell’acido e nello sparare alla nuca a innocenti creature?». Il primo delitto è quello della 17enne Emanuela Sansone, nel 1896 a Palermo, l’ultimo quello di Domenico Petruzzelli, 2 anni, nel 2014 in Puglia. In 200 pagine, si sgrana un lungo rosario di dolore, intriso del sangue di vicende più note – Nicholas Green, Giuseppe Di Matteo o Annalisa Durante – o sepolte dall’oblìo, come la «bimba mai nata», di cui erano in attesa i siciliani Ida Castelluccio e Nino Agostino, ammazzati da cosa nostra nel 1989. L’elenco sarebbe stato più lungo, osserva Palermo, se si fossero «aggiunti i bambini, e sono tanti, scampati miracolosamente ad agguati, o quelli che ancora oggi portano nel corpo» i segni di ferite ricevute.
Colpire i bambini, ammonisce nella prefazione il presidente di Libera don Luigi Ciotti, «è l’offesa più grave alla vita», una sottrazione di futuro per l’intera comunità, una perdita a cui si può dare significato solo con la «ricerca di verità e giustizia» (perché «gran parte degli omicidi e delle stragi di mafia sono ancora impuniti») e col «fare memoria». È proprio l’intento del libro che, conclude l’autore, «vuol essere una sorta di coscienza tascabile da portarsi dietro ogni giorno, perché nessun altro debba piangere e straziarsi dietro una bara bianca».
di Vincenzo R. Spagnolo
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