“Al posto sbagliato – storie di bambini vittime di mafia” (ed. Rubbettino) è il titolo di un libro che per la prima volta in Italia raccoglie le storie di 108 bambini e minori uccisi da tutte le mafie. Un lavoro lungo e difficile che è una sorta di “coscienza tascabile” da portarsi dietro ogni giorno perché nessun altro debba piangere e straziarsi dietro una bara bianca”.
Nella straordinaria prefazione di don Luigi Ciotti, fondatore di Libera – di cui il libro si pregia di portare il marchio – l’essenza di un lavoro unico e indispensabile, nonostante il dolore raccontato.
Così scrive Ciotti: «Senza parole. Così restiamo quando la realtà è tanto terribile da non poter essere commentata o anche solo raccontata. Quando i fatti sembrano indicibili, e inesprimibile l’orrore che suscitano. Invece mai come in quei momenti, di fronte a quel disorientamento, abbiamo il dovere di trovarle, le parole. Non parole al vento però, quelle dell’indignazione facile, della commozione senza conseguenze.
Ci servono invece parole autentiche: misurate ma ferme, inequivocabili, capaci di mordere le coscienze, e di esprimere a un tempo il dolore, la compassione, la condanna, ma sempre anche la speranza.
Sono le parole che ho cercato per questo libro così difficile da scrivere e persino da immaginare. Un libro che raccoglie 108 storie di bambini e adolescenti uccisi dalla violenza mafiosa, in Italia, dalla fine dell’Ottocento a oggi. Le ho raccontate senza fare sconti al dramma, spero con grande delicatezza, nel rispetto del dolore delle famiglie e del ricordo delle giovanissime vittime, di cui apprendiamo non solo le circostanze tragiche della morte, ma anche i dettagli che ne hanno reso unica la vita: una passione, un’aspirazione, un tratto speciale del carattere, per quanto acerbo.
Non ci sono solo le storie note, nel volume, quelle che in molti già conoscono perché salite alla «ribalta» delle cronache. Ed ecco il suo secondo grande merito: restituire alla memoria collettiva anche vicende poco o per nulla conosciute, che hanno segnato il destino delle famiglie ma non la coscienza dei cittadini”.
“Al posto sbagliato” ribalta una serie di concetti e falsi sulle mafie come l’onore e come i luoghi comuni delle mafie che non uccidono i bambini, ma ribalta anche alcune considerazioni troppo spesso usate e abusate per descrive avvenimenti come la morte di innocenti in agguati di mafia. Uno su tutti proprio nel titolo: «Non c’è un posto sbagliato, non c’è un momento sbagliato, semplicemente perché non esiste un luogo sbagliato per una vittima innocente. Al posto sbagliato, al momento sbagliato ci sono sempre e comunque gli assassini, i mafiosi, i criminali.
È questa la grande lezione di vita di Francesca Anastasio e Giovanni Gabriele, genitori di Domenico “Dodò”, ferito a morte da colpi di lupara alla periferia di Crotone il 25 giugno 2009 e morto il 20 settembre successivo, senza aver mai ripreso conoscenza. Da qui prende le mosse questo lavoro, da Crotone, da una delle tante periferie del mondo, da una storia che diventa simbolo e assume i connotati di universalità proprio perché a essere colpito è un bambino di undici anni in uno degli atti per lui più naturali, giocare al pallone».
Un libro duro, ma necessario che parte dal dolore dei familiari delle piccole vittime che spesso si trasforma in impegno quotidiano per combattere i delinquenti e gli assassini mafiosi. Un libro nel quale ogni capitolo ha per titolo nomi e cognomi delle vittime, nel quale ad essere raccontata è anche la vita, i sogni e i desideri di chi poi, invece, non avrà la possibilità di continuare a vivere perché mafiosi, ‘ndranghetisti, camorristi hanno deciso di sparare, di mettere fine a quei sorrisi.
E come dicono molti familiari delle vittime innocenti: «Quando hanno sparato su di loro è come se avessero sparato su tutta una famiglia».
“Al posto sbagliato – storie di bambini vittime di mafia” è un libro che bisogna leggere poco alla volta, ma che restituisce dignità ai bambini uccisi, memoria che si trasforma in impegno quotidiano e voglia di lottare per cambiare le cose al Sud come al Nord, in una piccola città come nelle metropoli, tenendo sempre ben presente il dolore dei famigliari e per farlo occorre portarsi dentro gli sguardi, i sorrisi, le smorfie delle piccole vittime.
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