Da Il Mattino del 25 giugno
Suggerisco a Virginia Raggi, se non lo avesse già fatto, di leggere con attenzione il libro Disastro capitale, Roma al bivio (edizioni Rubbettino), scritto dal giornalista Mario Ajello con ottima tempistica rispetto alla fase cruciale, una sorta di «dentro o fuori», che si è aperta nella storia di questa sciagurata capitale dopo il clamoroso quanto inedito risultato elettorale. Ajello segue due bussole per orientarsi nelle tenebre romane, quella del cronista, con il suo lavoro sul campo, e quella dello storico, a partire dalla genesi cavouriana della scelta di Roma come capitale del regno unito sotto la corona piemontese dei Savoia. «È la sola città d’Italia che non abbia memorie esclusivamente municipali..Una città destinata ad essere capitale dell’intera nazione» disse il conte Camillo Benson di Cavour nel celebre e decisivo discorso alla Camera con il quale Roma fece il salto, forse all’indietro, da caput mundi a sede del potere nazionale postunitario.
Quella città, piccola e papalina, avvitata sui giochi di palazzi e di curie, sui cortigiani e sulle corti in un continuo baratto di favori, già all’epoca priva di una moderna e responsabile borghesia, si è poi gonfiata, fino a implodere, qui siamo alla cronaca, con la slavina giudiziaria dell’inchiesta Mafia capitale. Quella città, meraviglioso palcoscenico di Grande Bellezza e Grandi Scempi, luogo di intelligenza a tutto campo e di cinismo indolente, in 150 e più anni di vita come capitale, ha accolto tuttinoi, emigranti specie meridionali (avete presente quanti sono a Roma i calabresi, i campani, i pugliesi?), con materna generosità, senza chiederci in cambio, come è avvenuto nelle metropoli del Nord, pensate a Milano e Torino, di essere cittadini responsabili, e come tali il primo anticorpo contro il degrado, di qualsiasi tipo. Ajello con il suo doppio abito, cronista e storico, presente e passato, deriva e grandeur, accompagna il lettore, quasi lo prende per mano, in una sorta di viaggio nel labirinto del Disastro capitale. Tutto sfila, come i fotogrammi di una efficace narrazione cinematografica: dai funerali del boss Casamonica ai camion di strada, dagli abusi davanti al Colosseo al tavolino selvaggio, dall’arroganza del tassista alle buche comunali. La felice ironia dell’autore attenua, ma non per questo fa sconti, l’onda d’urto di una città di cui oggi ci vergogniamo, non solo in Italia ma nel mondo, per la sua deriva, il suo collasso quotidiano, e il suo ormai lungo ciclo di malgoverno, con un’alternanza, sinistra e destra, verso il basso e mai in direzione di un felice cambiamento.
Oggi, a maggior ragione dopo l’insediamento al Campidoglio della signora Raggi, sparare contro i partiti a Roma è come colpire la Croce Rossa. Semplicemente perché non esistono, se non nella forma di piccole bande organizzate, estranee ai veri bisogni, a una domanda di normalità, che sale dalla città. Dal centro e dalla periferia. Nella sua presentazione al libro, Virman Cusenza, direttore del «Messaggero» dove scrive Ajello, avverte che «a Roma serve una mutazione genetica dei partiti». Giusto, ma probabilmente non basta, come non è sufficiente scaricare il Disastro Capitale tutto sulle spalle di una classe dirigente eclissata e/o indifferente.
C’è qualcosa che ci chiama in causa tutti, uno per uno, come cittadini di Roma, ed è il livello di civiltà, di amore e di rispetto per la nostra capitale. Bassissimo. Lo dimostra la quotidianità della violenza, fisica e verbale, con la quale i romani circolano in auto, in bici o in motorino; il modo indegno con il quale difendiamo il decoro urbano di strade e giardini; la cancellazione di un senso civico, senza il quale non esiste il diritto alla cittadinanza. E lo dimostra, più di tutto, un elemento che dobbiamo avere l’onestà intellettuale di riconoscere guardandoci allo specchio, da romani. L’illegalità a Roma non è solo nelle carte giudiziarie di Mafia Capitale, nella corruzione che, come dice la Corte dei Conti, dilaga in tutti gli uffici pubblici della città. No, l’illegalità è diventata la prima industria della capitale italiana, e attorno a questa parola magica per la sua potenza distruttrice si è formato un vero blocco sociale. Mario Ajello è riuscito a raccontarlo in un libro da conservare, Virginia Raggi dovrà provare, se vuole lasciare un segno, a scardinarlo. E noi tutti, da cittadini, dovremo pensare che non è più tempo per stare alla finestra.
di Antonio Galdo
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