La densità del buio, il confine è un burrone, sopra la luce e sotto le tenebre. Il baluardo della coscienza è un lenzuolo aperto a cui si rimane aggrappati, mentre, lentamente, si apre uno sbrego. Cucire lo strappo con ago e filo, quando si è appesi, sembra così facile da farci credere persino nell’impossibile. Siamo nel cuore di una frana e ci attacchiamo le ali alla schiena per riportare la terra sopra la terra e insieme a noi rotola giù tutto il mondo trascinandosi dietro il cielo e le stelle.
Flesherman è un criminologo famoso, di quelli che stanno così tanto in televisione e sui giornali che non si capisce quando trovino il tempo di lavorare, eppure dietro la risoluzione dei casi più intricati della cronaca c’è il loro sapere. Così basta una sua presenza superficiale a Berlino per risolvere un mistero che aleggia intorno al corpo di Rosa Luxemburg, di cui nessuno immaginava nulla: che si è omaggiato per decenni il cadavere di un’anonima prostituta, mentre quello autentico della fondatrice del partito comunista tedesco se ne stava a impolverarsi in un angolo di obitorio, fatto a pezzi dai Freikorps.
Nemmeno il tempo di sciogliere un enigma e se ne apre un altro: Karl Hagenbach, scrittore in voga, sparisce lasciandosi dietro una scia d’inchiostro. Decine di lettere destinate alla moglie Dora, chiusa nel buio solido che le divora la mente, in un letto d’ospedale. Se al mattino vi ritrovate in bocca il sapore del sonno, se ha il gusto di letto bagnato: è il nulla che avanza. Starete su un treno a dire cose oscene al viaggiatore o alla viaggiatrice, avvenenti, che vi stanno di fronte, giurando di non averle dette.
Vi sembra così facile scendere dal treno, fare un nuovo biglietto, prendere il convoglio in direzione opposta, ridere e dimenticare in fretta l’accaduto. Solo che quel sapore di letto bagnato vi persiste in bocca, fa da sottofondo alla vostra quotidianità. C’è un buio che quando appare non è come le nuvole nere che fanno un temporale e svaniscono. È un buio che si mangerà ogni raggio della vostra luce, divorerà ogni grado della vostra coscienza. Vi scoprirete seduti a un tavolo, a scrivere lettere, a mettere sul retro il vostro nome come destinatario, strappando a morsi pezzi della vostra vita per spedirveli in un futuro che non vi apparterrà.
L’alzheimer è il più insolubile dei misteri, un giallo che quando inizia sembra di facile soluzione e poi nessuno riesce più a seguirne le trame, nemmeno l’intrepido professor Flesherman, criminologo di fama, che cerca il corpo di Rosa Luxemburg e finisce in un viaggio senza fine, con in mano le lettere che uno scrittore ha inviato a sua moglie malata di Alzheimer. Sono un biglietto che gli appartiene, che gli indica la direzione presa dalla leggera demenza senile di cui è affetto. Lettere alla moglie di Hagenbach è il romando di Giuseppe Aloe, appena uscito da Rubbettino, una corsa che accompagnata dalla follia ci trascina nelle tenebre, e tutti ci aggrappiamo alle lettere per non arrenderci, confortati da una Mitteleuropa che qua ci appartiene, ancorata incredibilmente a radici greche e latine. Che poi, la resistenza vera, magari, è arrendersi.
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