“Via dall’Aspromonte” (Rubbettino, 2017) dello scrittore e regista Pietro Criaco, un potente racconto popolare ambientato ad Africo, paesino dell’entroterra calabro nei Cinquanta. Una storia di riscatto, meglio, del tentativo di riscatto di una piccola comunità di contadini in lotta per ottenere almeno una strada necessaria a rompere l’isolamento dello sperduto paesino. Un libro così visivamente forte e narrativamente efficace che, infatti, è già un film per la regia di Mimmo Calopresti, con Valeria Bruni Tedeschi e Marcello Fonte …
C’è poco da fare: la letteratura italiana, o meglio sarebbe dire il romanzo popolare italiano, dà il meglio di sé quando ritrova le sue radici più autentiche, che sono quelle della lotta per la sopravvivenza, dell’eterno conflitto tra bene e male, tra nord e sud, tra città e campagna, tra ricchi e poveri.
È questo il caso del bel libro di Pietro Criaco, Via dall’Aspromonte (Rubbettino, 2017, 221 pagine, 15 euro), finalista al premio John Fante 2018, destinato quasi naturalmente a trasformarsi in film tanto la storia raccontata è visivamente forte e narrativamente efficace.
E difatti alla traduzione del libro in un film sta lavorando Mimmo Calopresti, che ne ha affidato la recitazione a Valeria Bruni Tedeschi e Marcello Fonte. Ma non è un caso che lo stesso autore del libro, capace di mescolare elementi autobiografici con una tecnica narrativa di assoluto valore, sia uno che tiene corsi di linguaggio cinematografico e che ha realizzato a sua volta alcuni film importanti, come Il ladro (1986), Il cartonaro (1987), Terra rossa (1988), Africo, tra la perduta gente (1990), La sposa (1991) e Arturo (1992).
La narrazione di Via dall’Aspromonte è affidata a un bambino, Andrea (il cognome è lo stesso dello scrittore, a sottolineare la forte impronta autobiografica), che vive assieme al padre in uno sperduto paesino nell’entroterra calabro, Africo, negli anni 50 del secolo scorso.
Africo è una specie di paradiso agli occhi e nella fantasia di un bambino, che si accontenta di cacciare le rane e giocare a rincorrersi con gli amici nei lunghi pomeriggi estivi. Ma è privo di tutto ciò che serve a far vivere dignitosamente i suoi abitanti. Non c’è un medico condotto. Le donne muoiono di parto e i bambini rischiano di soccombere alle malattie non curate tempestivamente. Non c’è la scuola, e per andare nelle aule più vicine gli scolari devono fare chilometri a piedi. Non c’è un presidio delle forze dell’ordine, non c’è neppure un prete che viva stabilmente nella parrocchia. E soprattutto non c’è una strada che colleghi il paese alla più civilizzata marina.
Quando gli abitanti, dopo aver preso una drastica decisione, si recano in massa dal sindaco della cittadina costiera per reclamare i loro diritti, 15 chilometri a piedi sotto un caldo asfissiante, ne saranno brutalmente respinti. L’opportunismo delle istituzioni e i calcoli interessati degli amministratori non lasciano spazio alle rivendicazioni di un gruppo di bifolchi che non conosce le finezze della politica.
Così gli abitanti di Africo decidono di agire da soli, e di costruire la strada che congiungerà Africo alla costa. La decisione si trasforma ben presto in un’epopea dell’ingegnosità e della caparbietà delle persone più umili, quando è in gioco la loro stessa sopravvivenza.
Figuriamoci come questa epopea sia vissuta da un dodicenne, il cui padre assume la statura di eroe a tutto tondo dopo aver guidato la spedizione dal sindaco, avergli tenuto testa ed essersi posto ora alla guida del nuovo progetto. Un altro ostacolo, però, si frappone alla costruzione della strada, dato che il percorso dovrà attraversare il territorio dominato da un noto brigante, don Totò, abituato a fare il bello e cattivo tempo e che ora vede minacciato il suo regno da quella intrusione.
La guerra tra il paese e don Totò, braccato anche dalle forze dell’ordine, si tradurrà ben presto nella sconfitta di tutto quel piccolo mondo antico, fatto di cose semplici e valori profondi. Con la caduta dei sogni e delle illusioni, l’iniziazione del giovane sarà infine compiuta, mentre il trionfo della cruda realtà segnerà la condanna allo spopolamento dell’intero paese.
Ovvio che una trama del genere rischi di traboccare nella retorica, il che avviene puntualmente nella parte finale del libro cui manca un lavoro di limatura del testo che gli avrebbe giovato. E tuttavia i personaggi e i luoghi del testo assumono statura universale, come parte di un affresco che va oltre le vicende narrate.
Non solo perché siamo catapultati indietro nelle nostre radici comuni ma perché tocchiamo con mano il passaggio di un’epoca, i mali profondi e atavici del meridione, le costanti di una storia che si ripropone nel tempo e che ci riguarda tutti assai da vicino.
“Il Sud – dice il regista Mimmo Calopresti – è da sempre luogo geografico e luogo dell’anima. Inferno e paradiso, cronaca e favola. Africo è in Europa, e ci ricorda cosa, solo un secolo fa, poteva essere la nostra terra, ma in quanto sud assomiglia nei suoi sogni e nelle sue sconfitte, più che al nostro continente, a tutti i luoghi ai margini del mondo. Ancora vivi, ancora presenti, ancora disperatamente alla ricerca di un futuro, alle porte dell’Europa”.
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