Un libro di analisi sulla contemporaneità politica, sociale, economica che ci pone tutti dinanzi ad una evidenza: quanto siamo responsabili della nostra libertà e quanto, quest’ultima, sia il perimetro della nostra responsabilità senza sfociare in arbitrio o, peggio ancora, in altro.
Chi ha la possibilità di leggere “Addio Mascherine”, edito da Rubettino nel novembre 2020, viene catapultato davanti ad uno specchio, immaginariamente, con tutto sé stesso riflesso: il rapporto con la politica, con i governanti, con la pandemia (la prima ondata di inizio 2020), ma anche con le scelte del passato che si riflettono sull’oggi.
Il titolo non è certamente una chiamata alle armi della svestizione dal famoso strumento protettivo; anzi è del tutto l’opposto. Un chiaro messaggio, posto in metafora, che segna l’obiettivo ed al contempo il mezzo: come decifrare il grado di libertà che viviamo e che, ipoteticamente, vivremo.
D’altronde la libertà del domani dipende dall’ossequioso rispetto della protezione di sé stessi e degli altri, appunto, mediante l’utilizzo della mascherina: gesto che inquadra la c.d. cultura della responsabilità dell’Uomo verso i suoi simili. Senza inganni come invece, ad esempio, capitò a Pinocchio.
Infatti, il richiamo alla conversazione del Collodi (tra il celebre burattino e la coppia del gatto e la volpe) si pone come una sorta di lente d’ingrandimento sulla cocciutaggine degli italiani che, eternemente fedeli al romanticismo politico, continuano a scegliere di “conservare l’inconservabile” pur cambiando gli interpreti volta per volta con le elezioni.
Giacalone si riferisce, evidentemente, ad una mentalità cronicizzata nel sistema Paese. Non a caso l’ex Capo della segreteria di Palazzo Chigi pensa che siano più pericolose le mascherine che coprono gli occhi; quelle che, sempre con l’arte metaforica, rischiano di renderci così ciechi da condurci a non poter fare a meno di maestri del rattoppamento nella fase post-pandemica: elegante allusione ai pantaloni degli italiani (tasche incluse).
I gangli burocratici uniti all’esame delle dinamiche dei vari rischi incombenti sul sistema-paese passano, però, anche da cose positive che caratterizzano gli italiani: il non demordere ed il volontariato.
Bastano questi elementi a superare la crisi? Certo che no.
Giacalone, nel suo abile ed appassionato saggio, individua anche alcune delle debolezze di un mondo (nostro) che grida al “nulla sarà più come prima”, ma sul cui senso occorre intendersi, interrogarsi seriamente e riflettere; cioè se con tale affermazione si vuole andare oltre la pandemia, imparando dagli errori (come fece Pinocchio nel racconto di Collodi) e ripensando il Paese dei prossimi 50-100 anni, oppure se si spera “follemente” e solamente di tornare indietro.
L’essenza su cui “Addio mascherine” poggia l’impianto della scorrevolissima dissertazione proposta dall’autore è un inno al concetto di responsabilità che passa, per forza di cose, dalla cultura dell’errore in connubio con la ricerca spassionata della verità: la stessa che scattò dentro Pinocchio una volta realizzato l’inganno del gatto e della volpe. Tipico della bontà d’animo come quella degli italiani.
Temi caldi come l’integrazione e la globalizzazione fanno da cornice a quel che troppi danno per scontato. Perciò “Addio mascherine” esprime una direzione a senso unico e, al contempo, senza ritorno: capire lo sbaglio del presente e voler davvero cambiare.
Se nel passato v’è stato del ridicolo (un riferimento su tutti l’autore lo stadia nel debito pubblico), quando come Paese abboccavamo all’idea che i soldi si seminassero e si generassero da soli, abbiamo ora l’opportunità di riscattarci ma solo condizione che il vero addio lo diremo al “mascheramento dei problemi”. Con schiettezza e voglia di affrontarli una volta per tutte. Qui conta, però, la scelta della classe dirigente: quella che cresce nelle scuole, nelle università, nel mondo del lavoro. Insomma che va coltivata.
In altre parole l’addio alle mascherine dobbiamo farlo con una responsabilità programmatica che possa farci vedere la luce in fondo al tunnel con una chiave di lettura liberale: non abituarci alla libertà come concessione (riferimento ai famosi Dpcm ed alle c.d. autocertificazioni), ma come precondizione umana il cui alto senso in termini di dignità è irrinunciabile per ricostruire.
Pinocchio ce lo insegna ancora: dall’esperienza dell’inganno si può imparare una morale.
Come direbbe Mark Twain “è molto più facile ingannare la gente, piuttosto che convincerla che è stata ingannata”.
E Giacalone, impavidamente, ci prova con il suo saggio.
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