A schema libero (ed. Rubbettino) è una battaglia, uno scontro tra il passato e il presente della Calabria (ma anche dell’Italia). In un continuo rimando tra gli anni ’70 e il 2017 il collettivo Lou Palanca intreccia i fili di ciò che è stato, di ciò che poteva essere e di ciò che siamo diventati. La terza prova letteraria di questo dinamico gruppo di scrittori è una storia nerissima che, come spesso accade, attinge a piene mani dalla realtà e dalle inchieste giudiziarie.
Gli anni del terrorismo nero, della rivolta di Reggio Calabria, di Ciccio Franco e dei Boiachimolla sono stati anche quelli delle ribellioni anarchiche, delle gelsominaie e di una rivoluzione che poteva cambiare tutto ma che lasciò tutto immutato. Ed è proprio in questo contesto che la storia si sviluppa nei ricordi di un fantomatico agente dei servizi deviati. Lui osserva, anzi partecipa alla nascita della ‘ndrangheta. Potrà sembrare strano, perché ci hanno abituato a pensare che l’organizzazione criminale calabrese sia da sempre stata potente e radicata, ma leggendo questo noir ci sono delle verità che emergono dalla fiction.
I buoni in questa storia sono pochi e spesso non hanno alcun potere, i cattivi sono coloro che dovrebbero proteggerci e le nostre certezze si sgretolano mentre il puzzle si compone sotto i nostri occhi. I Lou Palanca ci aiutano a capire qualcosa di più di ciò che sta dietro A schema libero e forse anche dietro agli anni più tristi per Reggio Calabria.
Come descrivereste l’atmosfera della Calabria anni ’70 in cui avete calato i vostri personaggi?
Una atmosfera reale, quella che effettivamente si respirava in quei giorni, ma giocata sul filo della memoria tessuto dentro la composizione di un cruciverba “a schema libero”. Un’atmosfera nella quale il fuoco della rivolta dei Boiachimolla, nata per la contesa sul capoluogo di Regione tra Catanzaro e Reggio Calabria, temprava il patto tra ‘ndrangheta, massoneria, neofascismo, servizi deviati che ha contribuito a tenere in scacco l’Italia intera
Questo noir è un misto di finzione e realtà che si intrecciano di continuo?
Le nostre narrazioni affondano sempre le loro radici nella realtà ed il confine tra vero e verosimile è sempre molto esile. In questo romanzo abbiamo riportato anche alcuni documenti reali, come stralci di una sentenza, un’intervista di Oriana Fallaci a Ciccio Franco, dei brani di Pasolini, una pagina dell’Unità, ma tutto il racconto – almeno per la parte più prettamente “storica” – è basato su un lavoro di ricerca.
In questo alternarsi di rivoluzioni e restaurazioni c’è un osservatore speciale: il vostro uomo dei servizi è ispirato a qualcuno di reale?
No, non ha un nome perché può essere chiunque abbia vissuto storie simili dentro gli apparati di sicurezza. E’ un uomo che si muove al confine tra Stato e Antistato, convintamente leale alle istituzioni, ma riluttante, come Forrest Gump quasi inconsapevolmente attraversando i momenti più bui della storia repubblicana.
Ci sono almeno due grandi misteri in questo romanzo: l’altra faccia dei moti di Reggio e l’omicidio/suicidio di Orsola Fallara. Perché avete scelto di occuparvi propri di questi casi?
Abbiamo voluto riaccendere i riflettori su uno dei fatti storici più consistenti dell’ultimo mezzo secolo, non solo per Reggio e non solo per la Calabria. Una rivolta durata sette mesi che ha segnato le vicende dei decenni successivi, ma di cui lentamente si stava perdendo la memoria. La morte di Orsola Fallara segna una sorta di punto d’arrivo ed è in sé un fatto di rilievo in quelle stesse vicende: ne abbiamo fatto il punto di partenza per riavvolgere il nastro della memoria
Non si tratta solo di un romanzo dalle trame oscure e fantastiche, vi siete basasti su alcuni dei processi più importanti per la storia della Calabria e della ‘ndrangheta…
Di trame oscure ce ne sono ma sono ben poco fantastiche, se non per il fatto che le abbiamo fatte vivere per il lettore in un contesto di fiction, soprattutto nella seconda parte del romanzo, che abbiamo tratteggiato appunto con i toni del noir.
Quanto sono importanti le fonti archivistiche e storiche in un romanzo come il vostro?
Possiamo dire essenziali. Senza consultare i materiali che raccontano quei fatti non avremmo potuto scrivere il nostro romanzo. E’ una parte del lavoro che ci piace molto, perché ci ispira, ci arricchisce, ci fornisce spunti e riflessioni, che poi sviluppiamo nella nostra scrittura.
La zona grigia è un coprotagonista di questa storia? Non mi riferisco solo a questa espressione per come siamo abituati a leggerla, l’infiltrazione delle nuove e rampanti leve mafiose nei più alti livelli politici e sociali. Bensì a quel connubio di forze che ha usato un fenomeno ancora marginale, com’era quello mafioso, per dirigere un territorio in subbuglio qual era quello calabrese negli anni 70.
C’è una zona grigia che è tuttora al centro di inchieste delle magistratura antimafia reggina e nazionale. Quel patto tra ‘ndrangheta, massoneria, neofascismo, servizi deviati di cui parlavamo all’inizio ha sicuramente nuovi attori protagonisti, soprattutto perché la politica è diventata così debole che svolge ruoli del tutto marginali, mentre la ‘ndrangheta, che ormai gli affari li fa in altri territori, non più in Calabria, è diventata una delle organizzazioni criminali ed economiche più potenti al mondo. E’ chiaro che in questa condizione la zona grigia è il vero governo di alcune parti del territorio. In questo senso ha un suo ruolo nel romanzo.
La vostra è una storia senza un vero eroe, forse Margherita ma anche lei è più una spettatrice. È un po’ deprimente…
Ma le nostre storie in genere non hanno eroi, hanno sempre una pluralità di protagonisti, un’espressione corale. Oggi l’eroismo, forse, sta nella quotidianità, nel dover fronteggiare fragilità e solitudini nella società liquida. In questo senso forse alcuni dei nostri personaggi sono anche loro degli eroi.
Come ha contribuito ciascuno dei membri del collettivo e in quanti hanno collaborato alla creazione di quest’opera?
Ogni nostro romanzo ha avuto una genesi diversa nella sua composizione. In questo caso hanno iniziato la scrittura due di noi, completando un primo impianto. Poi uno dei due, Fabio Cuzzola (peraltro l’unico reggino), ha scelto per motivi personali di separarsi dal gruppo. A quel punto gli altri due componenti hanno rimaneggiato tutto e disegnato la conclusione della storia. Quindi il romanzo è firmato da tre di noi, ma senza gli spunti, i materiali e la spinta iniziale di Fabio, che non lo firmato, questo lavoro e, comunque, il nostro collettivo non esisterebbero.
Qual è il ruolo del noir oggi secondo voi e perché vi siete avvicinati a questo genere?
Il noir è un genere che racconta comunque la realtà. Lo fa con strumenti e da angolazioni particolari, ma è pur sempre un racconto che guarda dentro i fatti e dentro l’animo umano, cogliendo le relazioni che si sviluppano intorno ad alcune vicende particolari. Ci siamo avvicinati a questo genere perché avevamo una storia che ce lo consentiva. Siamo lettori forti e senza barriere e scrittori abbastanza eclettici: pertanto quindi usiamo tutte le corde di cui disponiamo.
C’è una nuova narrativa calabrese che sta riscrivendo alcune delle pagine più ambigue del passato della Regione. Vi sentite tra questi riscrittori?
Ci sentiamo sicuramente parte di un movimento di scrittori calabresi che è molto cresciuto in questi anni ed ai quali siamo anche personalmente legati. Questa estate faremo anche alcune iniziative insieme. Ricordiamo Gioacchino Criaco, Domenico Dara, Mimmo Gangemi, Daniel Cundari, Giuseppe Aloe, Ettore Castagna, Olimpio Talarico, Cataldo Perri. Ognuno ha il proprio stile e legge la realtà da un punto di vista particolare, ma senza dubbio tutti insieme abbiamo contribuito a scrivere alcune pagine che inducono alla riflessione sul nostro presente e sul nostro passato.
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