C’è un dato statistico che ci sentiamo ripetere da un po’ di tempo: in Italia nascono pochi bambini. Molti meno che nei decenni passati e meno anche rispetto agli altri Paesi europei, alcuni dei quali non se la passano comunque troppo bene da questo punto di vista. Molti, superficialmente, pensano che non sia un problema grave. Altri si domandano: non è che in un Paese meno popolato si può stare un po’ meglio, un po’ più larghi, consumando e inquinando meno?
Due giornalisti del Messaggero da sempre attenti a raccontare il Paese reale, Luca Cifoni e Diodato Pirone, provano a spiegarci in un libro in uscita oggi perché la crisi demografica non solo è un problema ma una vera emergenza. Da trattare con stessa serietà riservata ad altri rischi che si profilano nel nostro futuro: da quello climatico a quello legato alle pandemie.
Già il titolo, La trappola delle culle, ci dà in qualche modo l’idea della situazione; poi leggendo il primo capitolo si capisce perché le cose sono così complicate: nel 1964 sono venuti al mondo oltre un milione di bambini, mentre nel 2021 siamo scesi sotto quota 400 mila.
Ma risalire la china è difficilissimo, perché al di là delle scelte delle italiane e degli italiani tra i 20 e i 50 anni (che pure sono diverse da quelle dei loro genitori e dei loro nonni) c’è un fattore numerico che gioca contro di noi: proprio il calo demografico dei decenni scorsi, iniziato verso la metà degli anni Settanta e poi divenuto via via più pesante, ha falcidiato il numero dei potenziali genitori contribuendo in modo decisivo ad abbassare ancora il numero delle nascite.
Ecco la trappola, il circolo vizioso di cui siamo prigionieri. Il Paese – nonostante i flussi migratori dell’inizio di questo secolo – da qualche anno sta assistendo alla riduzione del numero complessivo dei residenti: siamo meno di 59 milioni e secondo le previsioni dell’Istat arriveremo a circa 54 nel 2070.
Le conseguenze iniziano ad essere ben visibili: intere aree del Paese si stanno spopolando e i territori che soffrono di più sono nel Mezzogiorno, mentre il mondo del lavoro, già afflitto da ben noti problemi di incrocio tra domanda e offerta e dalla fuga dei talenti verso l’estero, inizia a sperimentare la carenza di figure professionali fondamentali.
Altri guai si profilano per il futuro prossimo, nel quale una quota sempre più ridotta di cittadine e cittadini in età lavorativa dovrà assicurare con le proprie tasse servizi e assistenza all’intera collettività; oltre alle pensioni che giustamente spettano ad una platea sempre più numerosa, visto il nostro Paese sta sperimentando da tempo – e questa è una buonissima notizia – un processo di allungamento della vita media tra i più marcati al mondo.
Si può fare qualcosa per invertire questa tendenza? I fenomeni demografici, o almeno alcuni di essi, sono per definizione lenti: le conseguenze di un eventuale cambiamento di oggi si vedranno nella loro pienezza non prima di una ventina d’anni.
Cifoni e Pirone però, dopo aver descritto impietosamente lo scenario attuale, vogliono dare speranza. Lo fanno proponendo nove azioni che, se attuate tutte insieme, potrebbero aiutarci a invertire la tendenza. Il primo traguardo è recuperare all’inizio del prossimo decennio la quota di mezzo milione di nascite l’anno. Serve l’impegno dello Stato che deve potenziare i propri sostegni economici alle famiglie (l’assegno unico è un buon passo avanti ma ancora insufficiente) e i congedi in particolare per i papà. Serve anche lo sforzo delle imprese che nel loro stesso interesse devono entrare in questa partita aiutando con un welfare su misura i lavoratori che vogliono essere genitori. Serve una politica oculata ma lungimirante sull’immigrazione.
Ma – osservano gli autori – servono anche alcune svolte culturali: a partire dalla possibilità di porre senza tabù il tema della natalità come risorsa per il Paese. Senza dimenticare la spinta all’occupazione femminile (che nel resto d’Europa non è un ostacolo alla natalità, anzi il contrario!) e il possibile ripensamento delle regole su adozioni e procreazione medicalmente assistita.