Memorie di un medico cattolico, dalla guerra di Libia a Caporetto
a cura di Gianni Scipione Rossi
Viterbo – “Un cronista colto, disincantato e soprattutto ironico”.
Il giornalista Gianni Scipione Rossi ricorda Filippo Petroselli con un libro sulle memorie del medico cattolico dal titolo Ospedale da campo, edito da Rubettino in collaborazione con Caffeina, che uscirà il 20 ottobre. Nell’opera descrive il periodo storico il rapporto di quest ultimo con la storia culturale e personale di Petroselli che ha partecipato come ufficiale di Sanità alla guerra di Libia e alla Grande Guerra.
Come nasce l’idea del libro?
“La coltivavo da tempo – spiega Rossi -. Conoscevo le memorie di Filippo Petroselli ed erano sempre state stampate a tiratura limitata. Quest’anno, siamo nell’anniversario di Caporetto e nel centenario della prima guerra mondiale, da poco, poi, è passato quello della guerra di Libia che, in realtà, è durata molto a lungo. Erano memorie molto interessanti e ho quindi pensato di riproporle a un pubblico vasto. Insomma, non solo agli amici di famiglia”.
Chi era Filippo Petroselli?
“Era un medico letterato, cosa abbastanza normale nella sua epoca, e cioè nella prima metà del ‘900. Era un cattolico fortemente legato alla chiesa, discendente da una famiglia di tendenza ‘curiale’ , nel senso che aveva un avo che era stato vescovo di Loreto. Partecipa alle guerre come ufficiale medico, da qui il titolo del libro ‘Ospedale da campo’, e vede la guerra dal punto di vista del dolore, di chi deve salvare i feriti e chi sta morendo. La prima guerra mondiale non fu vista con favore dal papa e dal Vaticano e c’era poi un problema nello scontro tra l’Italia, la Francia e gli imperi centrali, ossia lo scontro fra cattolici. Sono decine di milioni quelli che, su fronti opposti, partecipano a questa guerra immane. E’ stato quindi uno scontro fratricida, dal punto di vista del papa e anche di molti vescovi, nonostante la partecipazione dei cappellani militari. Peraltro, la stessa cosa capita per gli ebrei che hanno un rabinato militare in Austria e Ungheria e uno in Italia. Per quanto riguarda il nostro paese, poi, poco si ricorda, ma ci sono gli italiani del Trentino che vengono arruolati nell’esercito austro-ungarico e partecipano alla guerra contro gli italiani. Proprio loro, sono sconfitti due volte, perché ritorneranno a casa trovando una patria nuova che sarebbe la loro, ma che non lo è perché hanno perso”.
Petroselli è cristiano e patriota.
“Petroselli nota tutto quello che gli accade intorno e vuole, come molti, che l’Italia si riunisca a Trento e Trieste. Si rende conto però del costo umano che questo comporta e lo affronta con sofferenza, dando una lettura critica degli eventi. Si trova anche d’accordo con papa Benedetto XVI che la definirà ‘un’inutile strage’”.
Come è strutturato il libro? “Nell’introduzione inquadro il periodo storico e poi l’autore e il suo radicamento personale e famigliare nel mondo cattolico italiano, perché sennò poco si capirebbe del suo atteggiamento nei confronti della guerra di Libia e della prima guerra mondiale. E’ un mondo che è reduce dal ‘non expedit’ e dal Risorgimento e sono guerre che scoppiano e che l’Italia combatte a soli 50 anni dall’unità. E’ un paese giovanissimo quello che affronta questi due conflitti. Le memorie famigliari e sociali sono molto dibattute. Divisive. Il risorgimento è piaciuto a tutti nei limiti. Quadro storico e personale vanno di pari passo, bisogna dscrivere uno per capire l’altro”.
Ci sono elementi di attualità?
“L’attualità – spiega – è data dall’obbligo di preservare le memorie e ricordare le cose per come sono state. La prima guerra mondiale naturalmente è stata la vittoria, condita di retorica. Oggi, le guerre sono abbastanza lontane e, pur con l’incubo della bomba atomica, non ci appartengono da vicino, mentre, all’epoca, faceva parte della vita. Le considerazioni di Petroselli poi sono attuali, perché mettono in evidenza come, al di là della retorica, in realtà l’approccio all’evento bellico sia faticoso e non sempre uguale per tutti. E’ vero poi che la prima guerra mondiale abbia contribuito a modernizzare l’Italia e non solo, specie sotto l’aspetto industriale, è vero che ha anche determinato e persino contribuito, a emancipare le donne, dal ruolo casalingo perché sostituirono mariti e fratelli che erano andati a combattere nelle fabbriche di armi. Visti a posteriori, ci sono degli aspetti positivi. Ricordare le cose e i sentimenti delle persone per come erano, visto che potrebbero aiutarci ad affrontare e capire il presente”.
C’è anche un po’ di Viterbo.
“Ho provato a inquadrare il periodo storico e il rapporto fra la storia culturale e personale dell’autore. Si ricostruisce anche la realtà viterbese dell’epoca, quella di fine ‘800, durante la quale appunto la famiglia di Petroselli si radica in città che allora faceva parte dello stato pontificio. Ci furono grandi scontri tra i liberali e i clericali. La famiglia di Petroselli appartiene a quest’ultimo ramo. C’era il ‘non expedit’, quindi i cattolici non votavano per le elezioni politiche e lo si faceva per censo, così che ne aveva diritto solo il 2 per cento della popolazione. Non c’è il voto per le donne. A Viterbo, nell’ultimo quarto dell’800, si pubblicavano due settimanali, uno della curia e uno del mondo radicale. Lo scontro più culturale che politico era molto forte. Episodi che hanno pesato sul ‘900, quindi è stato importante l’esempio di una realtà di provincia, non poi così piccola e marginale, come quella viterbese che somiglia a molte altre, ma con delle particolarità: una ruolo significativo nella storia della chiesa, essendo la città dei papi, e del paese”.
Sullo stile di scrittura invece?
“Petroselli scrive senza nascondere nulla. Fa una cronaca, talvolta commentata, dei fatti. C’è un filo di ironia e anche del sarcasmo nel suo raccontare gli eventi. Una cronaca vera per cui vede gli ufficiali incapaci, i soldati che hanno paura, quelli che scappano, l’impreparazione generale dell’apparato bellico e non nasconde gli aspetti negativi. Vede gli imboscati e chi si approfitta della guerra. Il suo – conclude Rossi -, non è un racconto edulcorato. E’ un cronista colto, disincantato e soprattutto ironico. Un’ironia che si ritrova poi anche nei suoi romanzi degli anni ’30 e ’40”.
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