Dott. Fabrizio Nava, Lei è autore del libro True North. Viaggio dentro l’identità del Canada edito da Rubbettino. Il Canada rappresenta un esempio tra i più virtuosi e avanzati di società multiculturale, un Paese dinamico e moderno: quali aspetti definiscono maggiormente l’identità canadese?
Quando si guarda al Canada è difficile pensare che una delle principali ansie dei canadesi è proprio la definizione di un’identità nazionale che li distingua dal resto del mondo, e in particolare dagli Stati Uniti cui vengono spesso impropriamente associati. La definizione dell’identità canadese rappresenta quasi un genere letterario a sé stante, che ha riempito scaffali di libri nei quali generazioni di intellettuali, politici e romanzieri si sono cimentati nella ricerca dell’essenza della personalità del Canada, tentando di definire un’identità che vada oltre la semplice somma delle culture presenti sul suo territorio. L’esercizio è tuttora in corso: il Canada è infatti un Paese giovane che si ridefinisce ad ogni generazione, e aggiunge un nuovo strato a una personalità che si adegua ai tempi nuovi. Se devo pensare ad un singolo elemento per definire l’identità canadese direi che esso è probabilmente il suo dinamismo, come se l’evoluzione dell’identità canadese sia una corsa senza sosta nella quale non c’è nessun filo di lana a marcare il traguardo. Il Canada è passato nell’arco di poche generazioni dall’essere un Dominion alla periferia dell’Impero Britannico a diventare un Paese moderno dotato di un’identità bilingue e biculturale, fino a diventare negli ultimi anni uno degli esempi meglio riusciti al mondo di società multiculturale. Il percorso non è stato facile né agevole, ed è dovuto a degli aspetti peculiari del Canada che ho cercato di evidenziare nel mio libro.
Il Canada nasce da un compromesso tra le sue componenti originarie inglese e francese: come vive il Paese il bilinguismo?
Il Canada è un Paese ufficialmente bilingue. Il bilinguismo è centrale per ancorare saldamente la popolazione di lingua e cultura francese all’interno della Confederazione e sottolinea il suo contributo centrale per la creazione del Canada. Al tempo stesso, il bilinguismo è vissuto con un certo fastidio nelle regioni che non hanno comunità francofone e specie nelle Provincie dell’Ovest, dove spesso si pensa che il bilinguismo non rappresenta una priorità e che le risorse pubbliche destinate ad esso potrebbero essere spese in altri modi. Il bilinguismo non si è affermato nella misura auspicata dal grande disegno costituzionale elaborato nel secolo scorso da Pierre Elliott Trudeau, in base al quale esso avrebbe dovuto costituire uno dei principali collanti dell’unità nazionale. Nel censimento del 2016 il 56% dei canadesi dichiarava di avere come prima lingua l’inglese e il 20.6 il francese (la quota rimanente ha una lingua madre diversa da queste due), ma la percentuale di persone che afferma di conoscere entrambe le lingue è ferma al 17.9% nonostante i 900 milioni di dollari canadesi che vengono spesi ogni anno per il bilinguismo, che si concentra ancora prevalentemente nel Québec e delle regioni bilingui che confinano con esso.
Nel referendum sull’indipendenza del Québec del 1995 il no ha prevalso di strettissima misura: quale futuro, a Suo avviso, per le istanze secessioniste québécois?
La diversità del Québec rimane un dato politico fondamentale del quale la politica canadese non può prescindere, ma le voci sovraniste sembrano avere perso la loro capacità di attrazione. Negli ultimi decenni le forze federaliste hanno infatti rafforzato la loro posizione nel Québec relegando in posizione di minoranza il Bloc Québecois, che nelle elezioni per il rinnovo della Camera dei Comuni del 21 ottobre 2019 ha ottenuto solamente il 32.2% delle preferenze su base provinciale. È importante ricordare che anche negli anni più caldi del sovranismo le istanze maggiormente sentite dalla popolazione del Québec non ponevano l’accento tanto sulla secessione tout court dalla Confederazione, quanto sul riconoscimento di uno status speciale al Québec in ragione della sua lingua, della sua cultura e della sua centralità nella formazione del Canada. Le argomentazioni sovraniste sono emerse con forza a partire dagli anni sessanta, quando il Canada ha dovuto sviluppare una nuova coscienza di sé con la fine dell’Impero britannico, sotto il quale esso aveva mosso i primi passi, e ha perso gran parte del suo vigore con l’adozione di provvedimenti che vanno incontro alle sensibilità della maggioranza dei quebecchesi, a partire dall’Official Languages Act del 1969 che istituisce il bilinguismo ufficiale. Bisogna inoltre tenere conto dei cambiamenti demografici, con la graduale uscita di scena della generazione dei Baby Boomers, che era stata al centro del movimento sovranista, e della riduzione del peso relativo della popolazione del Québec, che è passata dal rappresentare un terzo della popolazione canadese nel secondo dopoguerra ad un quinto della popolazione canadese contemporanea. La posizione della maggioranza dei quebecchesi è oggi riassunta nell’aforisma di Jean Lesage, padre della Rivoluzione Tranquilla degli anni sessanta, secondo il quale Le Quebec c’est ma patrie, le Canada c’est mon pays. Le pulsioni separatiste rimangono sullo sfondo e sono limitate ad una minoranza, e non credo che nel prossimo futuro esse rappresenteranno una forza politica determinante.
Il Canada vive l’ingombrante presenza culturale e politica degli Stati Uniti: quale rilevanza ha, per l’identità canadese, il complesso rapporto col vicino nordamericano?
I canadesi si sono definiti per molti anni in base alle loro differenze con gli americani, vere o presunte che fossero, salvo acquisire negli ultimi anni una maggiore consapevolezza della loro identità. Gli Stati Uniti sono una realtà ineludibile se si tiene conto del fatto che l’80% dei canadesi vive in una fascia di cento chilometri a nord della frontiera americana dove si trovano le principali metropoli del Paese, della comune matrice culturale e linguistica e di stili di vita analoghi, per rendersi conto dei quali è sufficiente passare per uno qualsiasi degli onnipresenti centri commerciali nelle zone residenziali di entrambi i Paesi. Gli Stati Uniti sono il primo mercato per i prodotti canadesi e il primo fornitore estero del Canada, e tutti i canadesi sono consapevoli del fatto che l’accesso al mercato statunitense è un interesse vitale per il Canada, così come del fatto che la sicurezza del Canada dipende dalla difesa del perimetro nordamericano da parte degli Stati Uniti. I canadesi sono coscienti del loro peso relativo nei confronti del loro grande vicino e del rapporto che è stato efficacemente riassunto da Pierre Elliott Trudeau dalla metafora del topolino che dorme accanto all’elefante. I canadesi guardano agli americani con un misto di ammirazione per i loro successi e di apprensione per i loro eccessi, seguono con grande attenzione tutto quello che succede negli Stati Uniti e si confrontano costantemente in paragoni nei quali cercano di emergere in una luce migliore rispetto ai loro vicini. Al tempo stesso, i canadesi sembrano desiderare maggiore considerazione da parte dei loro vicini, che non presterebbero attenzione a quanto succede a nord della frontiera, e sono pronti a notare ogni commento superficiale e mancanza di rispetto provenienti da sud. Come indicato dall’umorista John Bartlett Bebner, mentre gli americani sono benevolmente disinformati sul Canada, i canadesi sono maliziosamente informati sugli Stati Uniti.
Quale importanza riveste la relazione con la natura per l’identità canadese?
Il Canada è noto per i suoi grandi spazi ancora dominati da una natura primordiale, che forma parte della rappresentazione e della coscienza del Paese. Bisogna fare una premessa per precisare che i canadesi non guardano alla loro wilderness come se fosse la natura dell’Europa, plasmata nel profondo da millenni di attività umana, ma come un elemento ostile che forma parte integrante della cultura nazionale e un potenziale nemico cui è bene avvicinarsi con cautela. La wilderness seduce con la sua grande bellezza ma è densa di pericoli, a partire dal freddo che d’inverno può scendere a – 40 gradi e può portare alla morte per ipotermia in pochi minuti. Secondo la scrittrice Margaret Atwood, che ha scritto la prima guida alla letteratura canadese dal titolo emblematico di Survival, l’elemento che maggiormente caratterizza la cultura canadese è proprio lo spirito di sopravvivenza. Sopravvivenza da una natura ostile, ma anche da ogni tentativo di assimilazione politica o culturale.
Che valore ha il Nord per i canadesi?
Il Nord è un luogo dello spirito prima ancora che un luogo fisico. I canadesi si considerano un popolo nordico e amano guardare al loro Paese come la patria del grande freddo nonostante le estati siano calde, umide e piene di zanzare, al punto da adottare nel loro inno nazionale l’orgogliosa definizione di True North Strong and Free, che ha fornito lo spunto per il titolo del mio libro. I canadesi considerano che il loro carattere nazionale sia stato temprato dalle intemperie e abbia prodotto un temperamento forte e indipendente, un uomo della frontiera forte e rude in grado di cavarsela in ogni circostanza, ma anche un amante della libertà che viene dai grandi spazi. Non bisogna poi dimenticare che le regioni artiche rappresentano il quaranta per cento del territorio canadese. L’Artico canadese ha appena 120,000 abitanti ed è raramente visitato da chi vive nelle regioni più temperate, ma la sua presenza è fortemente radicata nell’immaginario collettivo della nazione.
Quali vicende hanno maggiormente segnato l’evoluzione del Canada?
Secondo il saggista Will Ferguson la storia del Canada può essere riassunta in un semplice aforisma, che è quello di tenere gli americani fuori, tenere i francesi dentro e rendere gli indigeni invisibili, precisando che il primo obiettivo è pienamente riuscito, il secondo è riuscito a metà e il terzo è invece miseramente fallito. Aforismi e semplificazioni a parte, credo che l’evoluzione del Canada sia stata marcata da alcuni passaggi fondamentali. Il primo di essi è la colonizzazione francese e la brusca cesura al termine della Guerra dei Sette Anni, che lasciò una popolazione di lingua e cultura francese isolata in un continente anglofono ed è alla base del compromesso con la Corona britannica da cui nasce il Canada che conosciamo. Il secondo è l’afflusso dei lealisti britannici all’indomani della Rivoluzione Americana, che confermarono la loro lealtà alla Corona con la Guerra Anglo-Americana del 1812/1813 e saldarono indissolubilmente il legame con il Regno Unito. Il terzo è la costruzione delle ferrovie e la colonizzazione dei vasti territori dell’Ovest nella seconda metà dell’ottocento, che marcarono l’estensione del Canada sull’intera metà settentrionale del continente nordamericano. Il quarto è la Prima Guerra Mondiale, nella quale il Canada prese per la prima volta coscienza di sé come nazione. Il quinto è il Nobel della pace a Lester B. Pearson nel 1957 per avere disinnescato la crisi di Suez, con il quale il Canada prese coscienza della sua capacità di poter essere un protagonista sulla scena internazionale. Il sesto è la stagione del sovranismo del Québec dagli anni sessanta agli anni novanta, che obbligò il Canada a interrogarsi sulla propria identità ed ha posto le premesse per la società bilingue e multiculturale del Canada contemporaneo, creando il contesto politico e culturale che oggi permette l’assimilazione di decine di migliaia di immigrati ogni anno. Il settimo e ultimo è il riconoscimento dei torti commessi nei confronti degli indigeni e il loro pieno reinserimento nella narrativa nazionale, che rappresenta una delle novità più importanti del nuovo secolo.
Quale ruolo, a Suo avviso, per il Canada nella geopolitica mondiale del XXI secolo?
Il Canada non ha un peso politico, economico o demografico tale da poter essere considerato una grande potenza. Il Paese è saldamente incardinato nella NATO, ha legami solidi con gli Stati Uniti e con i Paesi europei e svolge un ruolo strategico importante per la stabilità del continente nordamericano, dell’Atlantico settentrionale e dei territori artici. Negli ultimi anni Ottawa guarda con sempre maggiore attenzione alla regione dell’Asia-Pacifico, dal quale proviene la maggioranza dell’immigrazione degli ultimi decenni, e all’America Centro-Meridionale, dove sta rinsaldando le sue relazioni bilaterali con numerosi Paesi e partecipa ad accordi regionali con l’obiettivo principale di espandere il suo commercio e contribuire alla stabilità. A mio avviso, il Canada può svolgere un ruolo importante nella promozione di un sistema internazionale basato sulle regole e sulla difesa della libertà di commercio e investimento. Il Canada può inoltre svolgere un ruolo rilevante presentando al mondo il modello di una società aperta che ha successo anche grazie alla sua diversità e alla sua capacità di adattarsi ai tempi nuovi, che nel mondo del XXI secolo rappresenta un esempio positivo cui ispirarsi.
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