Arturo Diaconale, come mai un giornalista come lei, specializzato da sempre nell’analisi e nella cronaca politica ha deciso di scrivere un libro come «Santità! Ma possiamo continuare a dirci cristiani?» (Rubbettino Editore) che analizza in maniera critica l’apostolato di Papa Francesco?
«L’idea del libro nasce dopo una rilettura del classico di Benedetto Croce, “Perché non possiamo non dirci cristiani“. Io da giornalista laico e liberale e sostanzialmente agnostico sulla scia di Croce non posso non dirsi cristiano nella consapevolezza di essere il frutto di duemila anni di cultura occidentale, una tradizione che è un tratto identitario, una tradizione che insieme alla cultura greco-romana non puoi cancellare».
Cosa rimprovera a Papa Francesco?
«Nel libro mi chiedo: cosa può accadere alla nostra civiltà se è il Papa stesso a promuovere una sorta di nuova identità e l’apertura a nuove religioni? E tutto questo senza che le altre religioni facciano un cammino analogo, anzi piuttosto rafforzano i loro tratti identitari».
Lei nel libro tratta anche il tema delle migrazioni e del modo in cui la Chiesa le sta affrontando.
«L’accoglienza per Bergoglio è un tratto distintivo, ho visto anche la sua recente foto con il parroco di Marghera con la spilletta con la scritta “Apriamo i porti“. Ma questo tipo di approccio può avere conseguenze pericolosissime. Purtroppo ci si mette la coscienza a posto, ma si scaricano le conseguenze sulla società».
Qual è il pericolo che vede all’orizzonte?
«Io dico che se è vero che l’Occidente senza l’identità cristiana è poca cosa, è altrettanto vero che il Cristianesimo senza l’Occidente rischia di essere una Ong senza navi. Il cristianesimo ha una sua identità e c’è chi non la vuole abbandonare. La Chiesa nella sua storia è sempre stata plurale, ha accolto le spinte più diverse, è stata francescana e di apparato, povera e ricca. Ora mi sembra si stia affermando una posizione unica e foriera di lacerazioni».
Ma lei non crede sia eccessiva la lettura di Papa Francesco come soggetto politico?
«In questo Paese si può parlare male di Garibaldi, ma non dei Papi. Io credo che se il Papa si comporta come un soggetto politico debba essere trattato e criticato come un soggetto politico».
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