S’intitola Lui, Dio e lei. Il problema del celibato nella Chiesa: visto il sottotitolo e l’ampia introduzione autobiografica di Gianni Gennari, giornalista felicemente sposato e un tempo prete romano, si potrebbe pensare di trovarsi di fronte a un libro a tesi, scritto con la segreta intenzione di contribuire a rimuovere la legge ecclesiastica che da secoli riserva il sacerdozio soltanto a uomini che siano celibi e s’impegnino a continuare ad esserlo.
In realtà il saggio di Enzo Romeo, vaticanista del Tg2 (Rubbettino editore, pag. 288, 16 euro), presentato la sera del 16 ottobre 2018 al Centro Russia Ecumenica di Roma, non è un libro a tesi su uno degli elementi più caratterizzanti della Chiesa latina: non ha lo scopo di favorire le riforme da decenni suggerite dall’agenda cosiddetta “progressistaˮ, né intende assecondare i tentativi di assolutizzare e quasi “dogmatizzareˮ il celibato sacerdotale come sembrano talvolta voler fare alcuni ambienti cosiddetti “conservatoriˮ. Lui, Dio e leipresenta lo stato della questione, dando voce a vari testimoni, facendo emergere aspetti positivi e problematici: tra questi ultimi c’è certamente quello della solitudine del prete, ben spiegato dalla lunga testimonianza in prima persona di Damian Vallelonga, ex sacerdote oggi psicologo clinico.
Accurata e utile la ricostruzione storica sul celibato sacerdotale, la cui progressiva codificazione per secoli non fu certo garanzia di sani costumi tra il clero. Decisivo in questo senso fu il Concilio di Trento (1545-1563), che definì la dottrina sulla superiorità della verginità e del celibato rispetto al matrimonio ai tempi della Controriforma.
Leggendo le pagine di Enzo Romeo ci si rende conto del valore rappresentato dal celibato e delle ragioni che hanno portato la Chiesa latina a renderlo regola vincolante per il proprio clero. Non è abolendolo che si risolveranno, ad esempio, i problemi degli abusi sui minori e sugli adulti vulnerabili. Al tempo stesso emerge la necessità di ripensare la formazione nei seminari come pure l’organizzazione delle parrocchie sul territorio di fronte alla diminuzione delle vocazioni e soprattutto al contesto socio-culturale profondamente cambiato.
Gualtiero Sigismondi, vescovo di Foligno e presidente della Commissione CEI per il clero e la vita consacrata, nonché assistente generale dell’Azione Cattolica Italiana, intervistato nel libro, non ritiene che togliere l’obbligo del celibato eliminerebbe certe tentazioni che portano a violare il voto di castità. «A causa della carenza di preti forse si arriverà a togliere l’obbligo, ma quel giorno la Chiesa sarà più povera. Se avessi una famiglia non potrei consegnare il mio cuore alla Chiesa. Se fossi un prete sposato e dovessi scegliere tra la parrocchia e la famiglia, il mio cuore sarebbe obbligato a stare dalla parte della famiglia. Nella mia diocesi c’è un prete ortodosso che ha una bella famiglia, e quella viene prima. Due domeniche fa dovevo andare nella sua chiesa per un saluto, ma ha avuto un problema serio col figlio e abbiamo dovuto spostare l’appuntamento. Noi cattolici lo vediamo con i diaconi: a loro dico sempre “prima la vostra famiglia”, anche a costo di rinunciare a dei servizi».
Non appare dunque oggi in discussione la norma del celibato, sul cui valore si è più volte espresso anche Papa Francesco, sempre deciso, quand’era arcivescovo di Buenos Aires, nell’invitare i preti a non vivere una doppia vita. Ma la Chiesa cattolica, anche quella di rito latino – gli orientali cattolici hanno da sempre il clero uxorato – ha ammesso eccezioni, come nel caso dei preti anglicani che rientrano in comunione con Roma. E in discussione sarà, negli anni a venire, non la possibilità per i preti di sposarsi ma l’eventuale ordinazione sacerdotale di uomini sposati già maturi e avanti con l’età. Casi particolari, legati a situazioni particolari, come quello dell’Amazzonia.
«Io penso che si arriverà ad avere sacerdoti sposati», spiega Sigismondi, «ma non attraverso l’abolizione del celibato. Conosco delle coppie che hanno una bellissima vita di fede e personalmente sarei pronto ad affidare qualche parrocchia a dei viri probati. Ripeto, ciò che conta è che ci sia un cuore totalmente consegnato. Ma dev’esserlo sempre, perché il tempo si può riprendere tutto e farti pagare anche gli interessi col segno della tristezza. Se un prete, magari molto bravo, si spende ma non si dona, allora lì c’è l’incapacità di vivere serenamente il celibato e la castità».
«Il fatto è che nella Chiesa cattolica», afferma ancora il vescovo, «manca lo strumento per vivere il celibato: la fraternità. In più, oggi le famiglie divise producono molti problemi anche in quei giovani che vogliono intraprendere il cammino verso il sacerdozio. Un prete deve imparare a gestire la sua paternità spirituale, più che le proprie pulsioni sessuali. Naturalmente si deve saper dominare i propri istinti (e ciò vale anche per chi si sposa!). Serve una bella ascesi, specie tra i trenta e i quarant’anni, il periodo più difficile per un prete, che avverte forte la paternità e deve saperla gestire senza sentirsi “babbo”. Va posta attenzione per non cadere nelle “dipendenze” che portano a cercare a tutti i costi un rapporto padre-figlio, confondendo paternità spirituale e genitorialità. Equivoci nei quali si può anche insinuare l’omosessualità».
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