È vero che l’Unione europea si occupa solo della lunghezza massima di cetrioli e che per l’Italia rimanerci è solo un costo? A guadagnarci è sempre stata solo la Germania? Ci converrebbero un’Italiaexit e il ritorno alla lira? Domande che si sentono spesso: prova a rispondere con un libro – Senza è peggio-Perché l’Europa serve (Rubbettino) – Simona Bonafè, europarlamentare del Pd, membro della Commissione Ambiente, Salute pubblica e Sicurezza alimentare e della Commissione Affari economici e monetari, relatrice del pacchetto sull’economia circolare che lo Stato italiano sarà chiamato a recepire e tradurre in legge non oltre giugno 2020.
“Queste pagine non vogliono essere una difesa d’ufficio dell’Europa così com’è perché ci sono molte cose da migliorare, ma dobbiamo capire come. Anche i sovranisti dicono di voler cambiare l’Europa, ma lo fanno tornando indietro. La direzione da imboccare credo sia quella di una maggiore Europa, della realizzazione di quel processo di integrazione – non solo monetaria- che permetterà al Vecchio continente di governare le sfide globali del presente e del futuro”, spiega.
“L’Europa – ci dice Bonafè – ci ha portato 60 anni di pace, ma anche il mercato unico, un grande spazio economico di 500 milioni di abitanti, che allarga opportunità a cittadini e imprese. Se oggi possiamo volare in tutta Europa con tariffe di qualche decina di euro lo dobbiamo al mercato unico. Se possiamo telefonare a Parigi o Amsterdam al prezzo di una chiamata urbana lo dobbiamo al mercato unico. Se possiamo acquistare a prezzi vantaggiosi molti beni e servizi, è grazie alla concorrenza introdotta dal mercato unico, così come le imprese possono avvantaggiarsi di vastissime economie di scala e scambi transfrontalieri più facili. Tra gli altri vantaggi, pensiamo alla libertà di circolazione tra i diversi Stati europei e ad Erasmus”.
Sui fondi l’Europa passa per cattiva maestra, l’Italia per alunna sprecona. “Gli aiuti che l’Ue riversa su tutti i Paesi (circa 350-370 miliardi di euro ogni ciclo settennale) – chiarisce – sono in realtà un’occasione straordinaria di progresso comunitario, perché puntano ad accorciare le distanze sia tra i vari Stati europei, sia tra le regioni italiane. I fondi destinati al Belpaese finiscono in buona parte al Sud e alle aree meno sviluppate e obbligano a un impiego delle risorse secondo standard di rendicontazione precisi che garantiscono massima trasparenza e appropiatezza della spesa. I soldi europei negli ultimi cicli sono ormai assorbiti tutti. I risultati? Dalla tramvia di Firenze, al restauro di Pompei, alla Reggia di Venaria, al recupero dei Navigli a Milano, alla ricostruzione dell’Aquila, al Museo dei Bronzi di Riace, alla rete dei tecnopoli dell’Emilia Romagna”.
Ma è vero che alla Germania vanno più soldi? Bonafè: “Su circa 350 miliardi di dotazione della programmazione 2014-2020 al nostro Paese sono finiti oltre 42 miliardi. Siamo il secondo percettore, dopo la Polonia e prima di tutti gli altri big come Francia e Germania. Il saldo finanziario tra entrate ed uscite Italia Ue è, sì, per noi leggermente sfavorevole (diciamo 3-4 miliardi di euro l’anno), ma quel costo offre la possibilità di realizzare ingenti profitti (una quarantina di miliardi sempre annui attraverso il mercato unico e tutti quei vantaggi che ci derivano dall’appartenere all´Europa e che non possiamo quantificare direttamente come la stabilità monetaria, una normativa sulla sicurezza alimentare all’avanguardia nel mondo, il mercato interno), trasformandosi quindi in un investimento”.
Eppure si auspica un’ltaliaexit e si ha nostalgia della lira. “Vediamone gli effetti. Primo: l’inflazione ripartirebbe, perché Bankitalia per far quadrare all’inizio i conti e cercare di sostenere il debito pubblico – che oggi è di 2.300 miliardi di euro – finirebbe per stampare moneta. Così farebbe alzare il costo della vita e impoverirebbe le famiglie. Il potere d’acquisto scenderebbe. Stipendi e salari perderebbero in poco tempo il loro valore. Ne farebbero le spese soprattutto i redditi fissi e i risparmiatori, ma anche le imprese. Certo, la lira svalutata aiuterebbe nell’immediato le esportazioni, ma ricordiamoci che poi ci sarebbero gli effetti di materie prime ed energia acquistate in dollari. Le peggiori conseguenze sarebbero per il risparmio, con i mutui stipulati in euro e che in euro devono essere sostituiti, diventando carissimi. Fuori dall’Ue, dove saremmo? Guardiamo cosa sta accadendo con la Brexit: penso sia il miglior spot per restare anche se c’è ancora molta strada per unificare le politiche fiscali, energetiche, la sicurezza, la difesa, la giustizia”.
Cosa prevede per il 26 maggio e quale dovrà essere l’agenda per una nuova Europa? “Ci troviamo a un bivio – risponde Bonafè -, da una parte, una visione sovranista che mette in discussione persino l’integrazione raggiunta e pensa di risolvere i problemi migratori chiudendo le frontiere interne, nega il cambiamento climatico e crede che la crescita economica possa realizzarsi all’interno dei confini nazionali. Dall´altra, ci siamo noi che crediamo che le sfide del nostro tempo, ormai globali, possano essere affrontate e vinte solo rafforzandoci nell’ambito di un’Europa unita. L’immigrazione deve essere trattata in un quadro di solidarietà europea e con iniziative univoche in campo di politica estera e vicinato. Io penso, ad esempio, a un progetto di uno schema unico europeo di sussidi di disoccupazione, alla necessità di rafforzare gli ancora troppo timidi piani strategici per gli investimenti, utili a modernizzare imprese e infrastrutture e creare posti di lavoro. Sull’ambiente: innalzamento dei target di riciclaggio, riduzione dei conferimenti in discarica, lotta all’inquinamento da plastica dei nostri mari e misure incisive per diminuire lo spreco alimentare sono solo alcune delle misure che grazie al contributo decisivo della delegazione del Pd hanno trovato attuazione durante questa legislatura. Vogliamo continuare su questo solco, continuando a spingere per la transizione dell’UE verso un’economia circolare. L’altra grande sfida è contrastare i cambiamenti climatici. Il modo in cui produciamo e consumiamo l’energia, oggi responsabile del 75% delle emissioni, dovrà cambiare, con un maggiore sviluppo delle energie rinnovabili e un uso più efficiente della stessa energia, su cui concentrare molte delle risorse finanziarie presenti nel nuovo bilancio pluriennale europeo. Risorse che dovranno fungere da moltiplicatore per attirare investimenti privati in grado di coprire un gap calcolato tra i 175 e i 290 miliardi di euro l’anno necessari per la decarbonizzazione del sistema energetico della UE”
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