“Lascia che lo sfogli…”
Parte così la mia avventura con “Coraìsime”, il primo romanzo di Bernardo Migliaccio Spina, edito da Rubbettino.
Una frase che, quando fai – come me – il libraio, ti capita di dire fin troppo spesso, districandoti tra migliaia di paginacce brutte come la peggior malerba, annegato da miliardi di gocce di finta letteratura, incastrato nel ruolo di prima importanza nella vendita di sogni al dettaglio.
In questo caso, in cuor mio sapevo bene che non si trattava di un’ennesima occasione sprecata per svariati motivi:
in primis, conosco Bernardo in altri campi in cui già ha dato prova di essere un’icona del fare le cose a proprio modo, un personaggio così dolcemente sopra le righe da non avere vie di mezzo tra l’essere amato o odiato;
in secondo luogo, conosco Rubbettino, casa editrice di Soveria Mannelli che porta in alto la letteratura calabrese, prestando un’attenzione particolare alle proprie proposte (citando, tra i tanti, la tenerezza e la forza di “Il cielo comincia dal basso” di Sonia Serazzi, o la malinconica delicatezza di “Via dall’Aspromonte” di Pietro Criaco);
“Lascia che lo sfogli…” …e forse per la prima volta, l’ho fatto senza paura.
Ho sfogliato le prima trenta pagine del libro. Poi, affamato, altre sessanta. E non mi sono più fermato, non prima di finirlo.
Una scrittura che lavora sulle sensazioni, sui ricordi, sulla memoria muscolare e su quella olfattiva.
Una tessitura lettera per lettera, sillaba per sillaba, degna delle migliori pezzare d’altri tempi tanto da far perdere il lettore in un turbinio di immagini create alla perfezione dallo scrittore e completate nei dettagli dai ricordi di ciascuno di noi.
Non mi va di parlare della trama, perché le centotrenta pagine del libro sono abbastanza per raccontare questa storia, ma vi assicuro che ne vale veramente la pena.
Per chi volesse approfondire, vi lascio in calce i dettagli di questo piccolo gioiello incastonato nel panorama letterario italiano.
Tra miliardi di pagine di cui non sentivamo la necessità, ecco che ne arrivano una manciata di cui avevamo davvero bisogno.
“In un paese dominato da oscure presenze che si annidano in un reticolato di cunicoli e grotte sotterranee, Paolo porta agli estremi il senso di protezione nei confronti della figlia Marta finendo per recluderla in un casolare di campagna, chiusa al mondo e a sé stessa. Giuseppe, un ragazzo con alle spalle un’infanzia difficile, è vittima dell’amore malato di Paolo che lo rapisce per rinchiuderlo, a sua volta, in casa con Marta. Intorno, tra passato e presente, vivono luoghi e paesi spopolati dagli esodi invernali e presi dall’adrenalina dei ritorni estivi. Il filo sotteso al mistero degli “uomini senza testa” è fatto di magarie, riti esoterici e simbolismi. Il dramma dei protagonisti si consuma, tra fuochi divoranti e violenti temporali, con Marta che assume infine la veste di attrice principale della propria vita in una sorta di epilogo escatologico.”
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