È un film sulla persona e sul suo ambiente, un omaggio al recupero del rapporto uomo-natura, dove protagonista è una comunità di gente semplice alle prese con un’autenticità di pensiero e di azione. È “Aspromonte. La Terra degli ultimi”, il nuovo film di Mimmo Calopresti, presentato in anteprima nazionale, come evento speciale, al Taormina Film Fest 2019 e dal 17 ottobre nelle sale italiane.
Si tratta di un lavoro cinematografico che si fa portavoce di un messaggio ambientalista in cui la terra dei padri e dei figli diventa il terreno di gioco e di scontro sulla fine di un mondo e sul sogno di cambiare il corso degli eventi grazie alla voglia di riscatto di un popolo.
Questa è la storia: ad Africo, in pieno Aspromonte, alla fine degli anni ’50 una donna muore di parto perché il dottore non riesce ad arrivare in tempo a causa della mancanza di una strada di collegamento. Parte da qui il desiderio di lottare per la propria libertà, costruendo una strada senza l’ausilio delle istituzioni ma con l’aiuto incondizionato della maestra arrivata dal nord (Valeria Bruni Tedeschi) e del poeta del paese (Marcello Fonte, Palma d’oro a Cannes per Dogman). Già, perché la strada rappresenta, anche simbolicamente, il collegamento con il mondo. E la maestra e il poeta, con un approccio genuinamente semplice e al tempo stesso raffinato, rappresentano e incarnano una rivoluzione del pensiero.
“Il Sud – ci dice Calopresti – è da sempre luogo geografico e dell’anima. Inferno e paradiso; cronaca e favola. Così è questo film. Africo è in Europa, ma assomiglia nei suoi sogni e nelle sue sconfitte, più che al nostro continente, a tutti i luoghi ai margini del mondo. Ancora vivi, ancora presenti, ancora disperatamente alla ricerca di un futuro, alle porte dell’Europa.”
Il film è il racconto della natura che si intreccia con la miseria delle condizioni di vita, di un orgoglio di appartenenza che diventa prigione e che contempla l’emigrazione quale unica possibilità di rinascita. “Aspromonte. La terra degli ultimi” appare così un racconto western all’italiana in cui le promesse mancate e le provocate disillusioni alimentano l’apertura di un dialogo sullo stato delle cose, di ieri e di oggi. Del resto Africo, nella realtà dei fatti, ha vissuto sulla sua pelle terremoti (1783) e alluvioni (1951), oltre a faide sanguinose alle fine degli anni Ottanta. E rimanda prepotentemente alla mente le immagini di un’Italia divisa in due, dove la Calabria, e anche la Sicilia, sembrano viaggiare a velocità differenti rispetto al resto d’Italia.
Le ambientazioni del film sono fedeli ad una fotografia degli anni Cinquanta, ma con la consapevolezza che poco è stato ricostruito, nulla o quasi lasciato alla post-produzione cinematografica: tutto è uguale a se stesso. Il film è stato girato a Ferruzzano (sempre in Aspromonte), paesino semi-deserto, con case diroccate e collegamenti impervi. Il clima, però, è dolce.
“Così questo film – sottolinea Calopresti – è un invito a fermarsi, a rallentare, a mettere i piedi nel fango (come in alcune scene) per capire cosa sta succedendo. Dinanzi a noi c’è tanta confusione, per questo abbiamo necessità di guardare indietro.” E per raccontare il film anche Fulvio Lucisano (91 anni, nato in Calabria), che con Rai Cinema ha prodotto il film, guarda con un pizzico di ironia indietro: “60 anni fa ho partecipato all’inaugurazione della Salerno-Reggio Calabria”. E sorride, amaramente. Ma questa è un’altra storia, infinita e realistica, e forse un altro film. A Lucisano spetta un cameo d’obbligo finale in un film coraggioso che parla al cuore e alla mente, donando all’ambiente in cui viviamo un ruolo di prim’ordine.
Al premio Oscar Nicola Piovani il compito di comporre la colonna sonora. Nel cast oltre a Fonte e alla Bruni Tedeschi, ci sono Francesco Colella, Marco Leonardi, Sergio Rubini. Insomma, ognuno al suo posto per un film epico e neorealista che restituisce allo spettatore la voglia di fermarsi e ripartire. Per un viaggio consapevole che potrà portare al riconoscimento dei diritti di tutti. Anche degli ultimi della terra.
Il film è liberamente tratto da “Via dall’Aspromonte”, opera letteraria di Pietro Criaco edita da Rubbettino Editore.
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