Professor Talia, Lei è autore del libro La società calcolabile e i Big Data. Algoritmi e persone nel mondo digitale edito da Rubbettino: quali sono i rischi di una società integralmente digitalizzata?
La società calcolabile e i Big Data. Algoritmi e persone nel mondo digitale, Domenico TaliaStoricamente gli algoritmi sono stati materia di studio per matematici, fisici e ingegneri. Con l’invenzione del computer gli algoritmi sono stati trasformati in programmi da usare non soltanto per calcolare operazioni aritmetiche, ma per risolvere molti problemi quotidiani e per automatizzare tanti processi che prima erano manuali. Questo ha portato molti benefici alla nostra vita. Tuttavia con la diffusione pervasiva delle macchine elettroniche il tempo e lo spazio in cui l’uomo vive rischiano di essere ri-programmati e ri-organizzati dagli algoritmi. Le modalità con cui interagiamo, collaboriamo, lavoriamo e persino pensiamo, sono ormai condizionate dal funzionamento degli oggetti digitali (cellulari, computer, sensori, robot, ecc.) che usiamo quotidianamente. Il rischio che corre la nostra società è di vivere una sorta di alienazione tecnologica che ci porta a cedere agli algoritmi e alle macchine che li eseguono il controllo di tanti aspetti della vita dei singoli e del vivere collettivo. Non bisogna demonizzare le nuove tecnologie, è necessario conoscerle e usarle per migliorare la nostra vita senza divenirne vittime.
Che relazioni esistono tra tecnologie digitali e potere?
Il rapporto tra tecnologie digitali e potere è ancora in buona parte da definire e le modalità che verranno trovate per regolarlo giocheranno un ruolo di primo piano nel disegnare l’orizzonte futuro delle società democratiche. L’enorme quantità d’informazione che viaggia nella rete mette a disposizione una smisurata quantità di dati e informazioni (i Big Data) che soltanto pochi sembrano in grado di padroneggiare. Ogni volta che la cerchia degli accumulatori e dei gestori si restringe, il rischio per i cittadini e per le democrazie aumenta. Se questo rischio non si può del tutto eliminare, occorre almeno operare per limitarlo facendo in modo che le persone e gli organismi sociali abbiano un ruolo attivo nella definizione di regole, leggi e strumenti critici basati sulla cultura della rete e sulla coscienza dell’uso individuale e sociale delle tecnologie che eviti la vendita delle identità in rete e vigili su tutti quelli che ambiscono a costruire per i loro usi una vera e propria “datacrazia” e sui rischi di tali operazioni di gigantismo informativo che possono trasformarsi in manipolazioni di massa orientate a costruire nuovi poteri funzionali al dominio di pochi.
Quanto è reale il rischio dell’alienazione tecnologica?
Nel libro c’è un breve capitolo che discute il rapporto fondamentale tra coscienza delle tecnologie e alienazione tecnologica. Nel “primo mondo” buona parte degli abitanti sono tecnologicamente disinibiti e si circondano di oggetti digitali dei quali spesso fanno un uso naïf o addirittura dannoso. Un popolo digitale che non è cosciente del suo status di avventore in un mercato globale che tramite una “macchina digitale planetaria”, gli fornisce beni sempre nuovi anche tentando di soddisfare la loro “io” e il benessere dello spirito. Mentre, allo stesso tempo, non gli fornisce il sapere necessario, quello che realmente serve, per sfruttare questi potenti e complessi strumenti con l’obiettivo di migliorare concretamente la qualità della loro vita. Questa forma di alienazione tecnologica rischia di far regredire le capacità umane in quantità proporzionale all’aumentare delle capacità delle macchine, in una sorta di compensazione o conservazione della conoscenza.
Qual è il ruolo degli algoritmi nella nostra società?
Di fatto gli algoritmi hanno assunto un ruolo speciale in molti ambiti e momenti del nostro quotidiano. Gli algoritmi hanno portato l’uomo sulla Luna, ogni giorno guidano le rotte degli aerei e controllano le reti ferroviarie, ci permettono di telefonare in un qualsiasi sperduto paesino della Terra, ci aiutano anche a curare gravi malattie, governano fabbriche e processi produttivi in quasi tutte le nazioni sviluppate. Sono necessari per gestire molti aspetti della nostra società e per semplificare molte attività umane, ma è assolutamente necessario non lasciare che siano le sequenze di istruzioni, con i loro cicli e le loro condizioni, a decidere cosa sia meglio per noi o addirittura cosa siamo noi stessi. Data la loro diffusione e rilevanza, è tempo di comprendere l’importanza di un loro uso consapevole e responsabile. Non per evitare gli algoritmi, ma per poterli usare meglio e con maggiore controllo e consapevolezza.
Che relazioni vi sono tra l’uso dei big data, la privacy dei cittadini e l’esercizio della democrazia?
Nonostante leggi, direttive e regolamenti, la tracciabilità digitale di ognuno di noi ci dovrebbe portare a dire che ormai la privacy non esista più. Non è una battuta ma Google, Amazon o Instagram ci conoscono meglio di quanto ci conosciamo noi stessi. Purtroppo molto spesso siamo tutti noi a rinunciare alla privacy quando cediamo i nostri dati personali al nostro supermercato, a Facebook o alla nostra compagnia telefonica. Spesso lo facciamo inconsapevolmente anche perché molti di noi non sanno come sia possibile, attraverso algoritmi di intelligenza artificiale, usare quei dati per scoprire le più nascoste abitudini, le condizioni e i comportamenti di ognuno di noi. Eppure la privacy delle persone serve anche a tutelare la democrazia di un Paese. Stefano Rodotà su questo tema ha lavorato e scritto molto. I governi nazionali e l’Unione Europea stanno operando per regolamentare questa importante questione. Tuttavia, le leggi non bastano, è necessario l’impegno delle persone nel cercare di preservare la loro privacy e non svenderla per avere una ricarica telefonica o un set di bicchieri in omaggio.
Quale impatto avranno le tecniche di intelligenza artificiale sul mondo del lavoro?
Il libro discute anche gli aspetti rilevanti legati al futuro del lavoro e ai lavori del futuro. Le forme e i processi lavorativi nel mondo digitale stanno subendo e subiranno trasformazioni intensive. I dispositivi digitali hanno trasformato ogni luogo in un luogo di lavoro e ogni tempo in un tempo di lavoro. Il cambiamento dei processi di produzione, le nuove forme di mansioni operative, le modalità di nuovo sfruttamento non riguardano soltanto i tradizionali luoghi di produzione (le fabbriche, gli uffici, i cantieri). L’uso di dispositivi digitali anytime ed everywhere permette di svolgere funzioni personali e funzioni lavorative con modalità spazio-temporali pervasive come mai è accaduto prima nella storia dell’uomo. Le due classiche risposte che spesso si danno al problema dell’impatto dell’uso dell’intelligenza artificiale sul lavoro sono quella pessimistica che teorizza che le tecnologie aumentano la disoccupazione perché le macchine sostituiscono le persone, e quella ottimistica convinta che le tecnologie informatiche creino più posti di lavoro di quanti ne distruggano. Forse nessuna delle due è completamente vera. Certamente. una serie di funzioni semplici e ripetitive saranno sempre più svolte dai computer, ma i lavori manuali in cui l’interazione umana è fondamentale e i lavori di alto livello che richiedono conoscenze complesse e elevate abilità intellettive non potranno essere svolti interamente dalle machine. Almeno fino a quando le machine non saranno in grado di accumulare “conoscenza tacita” come fanno gli uomini da millenni.
Come è destinata ad evolvere l’industria al tempo dell’Internet delle cose?
Secondo le stime dell’Unione Europea, il modello della “Fabbrica 4.0” già nel 2020 porterà il settore manifatturiero in Europa a generare il 20% del PIL, rispetto all’attuale 15%. In Germania si stanno investendo centinaia di milioni di euro e la Cina ha definito un programma decennale per Industry 4.0. I benefici in termini di efficienza produttiva e di benessere economico potranno essere tanti, tuttavia, mentre molti si occupano di come sarà la “Fabbrica 4.0”, sembrano essere in pochi quelli che cercano di capire come sarà l’Operaio 4.0. Bisogna chiedersi quale sarà l’impatto dei nuovi modi di produzione sul capitale umano. Una voce isolata mi sembra essere quella di Marco Bentivogli segretario della Fim Cisl che sta ponendo queste questioni al sindacato e alla politica. Il cambio di paradigma nelle forme di produzione nella nuova fabbrica richiede e provoca un nuovo modo di concepire il ruolo, le funzioni, e le competenze del lavoratore. La catena di montaggio sparirà, gli orari di lavoro saranno diversi, insieme a tante cose bisognerà contrattare anche gli algoritmi che governeranno il lavoro.
Quali questioni pone l’impatto della rete sulle nostre menti e nelle relazioni tra le persone?
In molti casi oggi interagiamo con i nostri simili usando oggetti digitali e applicazioni software. I ragazzi lo fanno anche in maniera parossistica e straniante. Anche se sono vicini tra loro si parlano via WhatsApp. I mezzi di trasporto in passato hanno cambiato la nostra percezione dello spazio e delle distanze. Oggi le distanze sono quasi annullate dalla rete, che può creare una distanza ridottissima tra due o più interlocutori connessi, qualunque sia l’angolo della Terra in cui essi siano fisicamente. Il web, l’email, i social mentre modellano le nostre giornate, cambiano anche il nostro modo di pensare, di approcciare i problemi e di risolverli. Come in passato con la stampa, oggi con il computer e con la rete, stanno cambiando l’oggetto e il soggetto del pensiero. Le macchine digitali e le loro reti diventano memorie ausiliarie in sostanza infinite e costituiscono nuovi elementi connettivi e di elaborazione per le informazioni che usiamo. Di fatto permettono o forzano la nascita di nuovi modi di pensare che superano e integrano quelli usati finora. Le macchine anche quando sono molto utili sostituiscono le funzioni della nostra mente.
Come evolveranno la tracciabilità e la calcolabilità dei comportamenti dei singoli e degli organismi sociali?
L’analisi dei Big Data oggi si basa su algoritmi di data mining complessi che permettono di scoprire le preferenze, le abitudini, le opinioni, l’umore e gli spostamenti di chiunque usi la rete. Ogni accesso al web, ai social, alla email, ogni acquisto e ogni viaggio che facciamo può e viene tracciato. Se l’uso che si fa di queste informazioni non danneggia le persone, queste tecnologie sono molto efficaci e utili. Tuttavia, la sofisticata capacità degli algoritmi di data mining e machine learning può essere usata per violare la privacy dei cittadini, per scopi politici e di potere, per la cyberwar. Come spiega il libro, l’uso che oggi viene fatto degli algoritmi definisce e sostanzia un progetto politico che inevitabilmente modella la società. Comunque, anche se oggi in molti casi non è così, le tecnologie digitali possono e devono essere usate a servizio dei cittadini e del benessere sociale. Perché questo accada i singoli cittadini, le società democratiche, la classe politica tutti insieme devono acquisire la consapevolezza del loro valore sociale e politico e agire per sfruttarli efficacemente come una moderna leva a servizio del futuro del mondo.
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