Prof. Giuseppe Caridi, Lei è autore del libro Gli Aragonesi di Napoli. Una grande dinastia del Sud nell’Italia delle Signorie edito da Rubbettino: come avvenne la conquista del Regno di Napoli da parte di Alfonso V d’Aragona?
Alfonso V d’Aragona – detto il Magnanimo per il suo mecenatismo verso gli uomini di cultura – intraprese una guerra di successione al trono di Napoli nel 1435, subito dopo la morte della regina Giovanna II di Durazzo – discendente di un ramo cadetto degli Angioini – che aveva lasciato il Regno a Renato d’Angiò. Un quindicennio prima, però, la stessa Giovanna II, impegnata a contrastare le mire sul Regno napoletano da parte di Luigi III d’Angiò, aveva inviato un suo emissario in Sardegna, dove si trovava il sovrano aragonese, per proporgli di intervenire in armi in suo favore in cambio della designazione a erede di quel trono. Per rendere ancora più efficace tale proposta, la regina, priva di prole e in età piuttosto avanzata, aveva promesso ad Alfonso di adottarlo come figlio e di concedergli il possesso del ducato di Calabria con il relativo titolo nobiliare, tradizionalmente tipico dei successori al trono. Il re, che era intento a predisporre una controffensiva per la conquista della Corsica, tentativo in precedenza fallito, malgrado il parere contrario dei suoi consiglieri che gli profilarono le difficoltà e gli elevati costi di una tale impresa, aderì con entusiasmo alla richiesta della regina. Secondo l’umanista Panormita, frequentatore assiduo della corte del re, il Magnanimo aveva deciso di prestare il soccorso richiestogli in virtù dello spirito cavalleresco da cui era animato: «Dubiteremo di andare in aiuto alla regina, una donna in difficoltà che ci chiama? – avrebbe detto il re ai suoi titubanti consiglieri – Mi rendo conto che per noi sarà una dura guerra, ma la vittoria sarà più gloriosa. Nessuno ha mai guadagnato la fama senza fatica e pericolo». In realtà Alfonso era allettato dalla prospettiva di aggiungere agli altri Stati in suo possesso (Regni d’Aragona, di Valenza, di Maiorca, di Sicilia, di Sardegna e Principato di Catalogna) anche il Regno di Napoli, che gli avrebbe consentito di estendere il dominio aragonese nel Mediterraneo e alla cui annessione aveva già mirato il padre Ferdinando de Antequera mediante il progetto, poi fallito, di fare sposare Giovanna II al suo secondogenito Giovanni. Ad Alfonso, che nel 1421 arrivò con una flotta a Napoli, la regina Giovanna aveva tuttavia posto la condizione di non interferire nel governo del Regno durante la propria vita e limitarsi a esercitare la giurisdizione sul ducato di Calabria e prestarle sostegno militare. Il sovrano aragonese si mostrò però sospettoso dei maneggi del favorito della regina, il gran siniscalco ser Gianni Caracciolo – che intendeva mantenere il controllo effettivo del Regno e mal sopportava la sua ingerenza – e lo fece catturare destando lo sdegno di Giovanna II, che nel giugno 1423 ne revocò l’adozione e nominò suo erede addirittura Luigi III. Pressato da impellenti problemi sorti nel frattempo in Spagna, dove il fratello Enrico era stato imprigionato dal re di Castiglia, il sovrano aragonese lasciò a Napoli dei presidi e rientrò nella penisola iberica con l’intenzione di farvi ritorno appena possibile. Le questioni iberiche si protrassero però molto più a lungo del previsto e le condizioni per portare a compimento la conquista del Regno di Napoli si verificarono appunto nel 1435, quando Alfonso, appresa la notizia della morte di Giovanna II non riconobbe la designazione a suo successore di Renato d’Angiò contro il quale mosse una lunga e complicata guerra a cui presero parte su fronti contrapposti i più illustri feudatari napoletani e i maggiori capitani di ventura italiani del tempo. Dopo un settennio di alterne vicende, nel giugno 1442 mediante uno stratagemma – l’introduzione in città di un manipolo di soldati attraverso un cunicolo sotterraneo – Alfonso riuscì a espugnare Napoli soggetta a un lungo assedio e completare la conquista del Regno, dando così inizio alla dinastia aragonese che sarebbe durata un sessantennio.
Quale posizione ricoprirono gli Aragonesi nell’ambito dei Potentati italiani sotto il regno di Ferrante?
Nel 1458 Alfonso morì e lasciò come erede del Regno di Napoli il figlio naturale Ferdinando I, comunemente denominato Ferrante. Non essendo un figlio legittimo, a Ferrante non poterono infatti pervenire i Regni che Alfonso aveva ereditato dal padre, spettanti al fratello Giovanni e questo spiega per certi versi anche la tenacia con cui il Magnanimo si impegnò alla conquista del Mezzogiorno d’Italia. Ebbe perciò inizio con il secondo esponente della dinastia aragonese una fase di indipendenza del Regno di Napoli, sul quale si era insediato adesso un re nazionale che lo inseriva quindi a pieno titolo fra i Potentati italiani, sui quali Ferrante vantava tuttavia la preminenza formale dovuta alla corona regia che ne cingeva la testa. Nel corso del suo lungo regno, protrattosi sino al 1494, anno della morte, gli sforzi di Ferrante furono finalizzati a rendere effettiva questa prevalenza sugli Stati della Penisola, che – superato nel 1464 il duro scoglio della rivolta baronale, appoggiata dall’erede di Renato d’Angiò – mediante alterne alleanze riuscì a imporre negli anni successivi al punto che all’inizio degli anni Ottanta si era diffusa la voce che intendesse estendere la propria egemonia all’intera Italia e intitolarsene re. In tale contesto un ruolo fondamentale ebbero i controversi rapporti con il Papato e il sostegno pressoché costante degli Sforza, duchi di Milano, a fronte delle mutevoli alleanze con i Medici di Firenze e con Venezia, Repubblica Serenissima con la quale in particolari occasioni si fece tuttavia fronte comune contro il pericolo turco e francese, i cui disegni espansionistici erano una costante minaccia per il Regno di Napoli. Preoccupato da tali pericoli, Ferrante negli ultimi anni del suo regno tralasciò le tendenze egemoniche in Italia e optò per il mantenimento della stabilità politica, contando tra l’altro sull’apporto di Lorenzo il Magnifico, le cui abili doti diplomatiche furono efficacemente messe al servizio dell’equilibrio fra i Potentati italiani. Morto nel 1492 il Magnifico, asceso al soglio pontificio nello stesso anno Alessandro VI, al secolo il valenzano Rodrigo Borgia, e uscito nel frattempo dalla minorità l’ambizioso re di Francia Carlo VIII, cupe nubi si addensarono all’orizzonte del Regno di Napoli nell’ultimo anno di vita di Ferrante. Malgrado frenetici tentativi il sovrano napoletano non riuscì infatti a raggiungere l’obiettivo di costituire un fronte antifrancese di cui l’asse portante avrebbe dovuto essere il cognato Ferdinando il Cattolico, re di Spagna, che però, nonostante le ricorrenti promesse di aiuto – dapprima effettivamente concesso – avrebbe mirato a sottrarre il Regno ai parenti napoletani.
Quali vicende segnarono gli anni successivi alla scomparsa di Ferrante?
Alla morte di Ferrante, Carlo VIII alla testa di un poderoso esercito – rinforzato da milizie mercenarie svizzere e dotato di artiglierie della cui costruzione la Francia era all’avanguardia in Europa – intraprese la spedizione per la conquista del Regno di Napoli, sul cui trono intendeva fare valere i diritti cedutigli dagli Angiò. A sollecitare ulteriormente il sovrano francese a questa impresa furono anche i baroni napoletani, che, per sfuggire alle rappresaglie di Ferrante si erano rifugiati presso la sua corte dopo il fallimento della rivolta del 1485, sostenuta da papa Innocenzo VIII, e Ludovico il Moro, che voleva approfittarne per spodestare dal ducato di Milano il nipote Gian Galeazzo, sposatosi con Isabella, nipote del re di Napoli, ed era perciò timoroso della prevedibile reazione aragonese. Per questa impresa, che lo avrebbe indotto ad allontanarsi a lungo dalla Francia, Carlo VIII si premurò di ottenere preliminarmente il consenso delle Potenze confinanti di Spagna e Impero mediante la concessione di appetibili regioni di frontiera (Cerdagne e Rossiglione a Ferdinando il Cattolico e Franca Contea a Massimiliano d’Asburgo). Degli altri principali Potentati italiani, se Firenze e il papa Alessandro VI avevano inizialmente manifestato il loro appoggio agli Aragonesi, Venezia aveva invece assunto una posizione ambigua. A Ferrante era succeduto sul trono il primogenito Alfonso II, che, di fronte all’impetuosa avanzata del re di Francia, a cui si erano sottomessi senza opporre resistenza sia Firenze che il papa, decise di abdicare in favore del figlio Ferdinando II, detto comunemente Ferrandino. Il nuovo re di Napoli, dopo essere stato costretto a lasciare il trono, ottenne l’appoggio della Spagna, il cui re, malgrado gli accordi precedenti, si fece promotore di una lega antifrancese alla quale, preoccupati delle mire espansionistiche di Carlo VIII, parteciparono l’imperatore Massimiliano d’Asburgo, la Repubblica di Venezia e gli altri Potentati italiani, tra cui lo stesso Ludovico il Moro. Per sfuggire a tale formidabile coalizione nemica, Carlo VIII, poco dopo essere entrato vittoriosamente in Napoli, fece rapidamente ritorno in Francia e Ferrandino potè così recuperare il Regno.
Come si concluse la dinastia?
La permanenza di Ferrandino sul trono napoletano fu però di breve durata. Ammalatosi pochi mesi dopo il recupero del Regno, il giovane sovrano si spense nell’ottobre 1496. Non avendo avuto figli dal matrimonio con la zia paterna Giovanna, Ferrandino lasciò come suo successore lo zio paterno Federico, secondogenito di Ferrante, al quale Alfonso II – deceduto nel frattempo in Sicilia dove si era trasferito – aveva già affidato il comando dell’esercito e una sorta di tutela del figlio. Federico, che aveva brillantemente collaborato con il padre in importanti operazioni diplomatiche e militari, iniziò un’incisiva opera di riassestamento del Regno travagliato dalle recenti vicende belliche, ritenendo di potere contare in politica estera sul sostegno del cugino Ferdinando il Cattolico. Questi però aveva tutt’altre intenzioni, fino ad allora abilmente celate. A Carlo VIII, morto nel 1498, succedette sul trono francese il cugino Luigi XII, che decise di riprendere la spedizione per la conquista del Regno di Napoli dopo avere occupato il ducato di Milano, su cui vantava diritti ereditari in virtù della parentela con i Visconti, che avevano detenuto quel ducato prima degli Sforza. Per evitare l’opposizione della Spagna, Luigi XII nel 1500 stipulò a Granada con Ferdinando il Cattolico un trattato con il quale i due sovrani decisero di intraprendere la conquista del Regno di Napoli e dividerselo tra di loro. I due eserciti avrebbero proceduto all’occupazione distintamente. Le milizie spagnole sarebbero avanzate dalla Sicilia e quelle francesi dal Nord, unendosi poi a Roma dove il papa, in qualità di alto signore del Regno, avrebbe sancito la loro occupazione conferendo al sovrano francese, a cui sarebbe spettata la Campania, gli Abruzzi e una parte della Puglia, il titolo di Re di Napoli e al re di Spagna, impossessatosi delle altre regioni, il titolo di duca di Puglia e di Calabria. Non essendo in grado si resistere a tali attacchi concentrici, Federico nell’agosto 1501 lasciò Napoli e dopo una sosta a Ischia, deluso dalla condotta di Ferdinando, sul cui aiuto aveva vanamente puntato, si recò in Francia, dove Luigi XII, al quale trasferì i diritti sul Regno, gli conferì alcuni appannaggi feudali.
Con l’esilio di Federico, che sarebbe morto in Francia nel 1504, si concluse la dinastia degli Aragonesi di Napoli ed ebbe anche termine l’indipendenza del Regno, passato sotto l’egida della Spagna, vittoriosa sulla Francia con cui, fallito l’accordo di Granata, si combatté la guerra per la preponderanza in Italia.
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“Gli Aragonesi di Napoli. Una grande dinastia del Sud nell’Italia delle Signorie” di Giuseppe Caridi