“Aspromonte – La Terra degli ultimi” è la nuova creatura di Mimmo Calopresti che ha voluto omaggiare la sua Calabria regalando un racconto a metà tra la favola e il film western.
Il regista calabrese si è ispirato al libro di Pietro Criaco – “Via dall’Aspromonte” – edito da Rubbettino Editore – che come in una fotografia virata in seppia, racconta la vita di Africo, suo paese di nascita, durante gli anni ‘50.
Il film ha avuto una prima proiezione al Taormina Film Festival, ma uscirà nelle sale il 21 novembre prossimo, e vede la produzione di Fulvio Lucisano, anche lui calabrese, che a 90 anni si regala un cameo a fine film, oltre alle musiche scritte da Nicola Piovani.
La storia di “Aspromonte”. Una Calabria destinata all’oblio
La Calabria raccontata da Calopresti ha il sapore antico e primitivo di questo piccolo borgo aggrappato alle montagne dell’Aspromonte reggino e si ispira a una storia vera.
Africo, nel dopoguerra, non ha l’elettricità, non c’è il medico, ma soprattutto non ha le strade, cosa che lo obbliga a un isolamento forzato, ereditato nei secoli. È un paese abbandonato a sé stesso, ignorato dalle autorità, fuori dal mondo.
Dopo l’ennesima donna morta di parto perché il medico non arriva in tempo per la mancanza di una strada, gli abitanti sono esasperati dall’essere trascurati. Decidono di fare la strada con le proprie mani, strada che porta verso il mare, varco per il proprio futuro. Così tutti gli abitanti si mettono all’opera, con pale e picconi. Tutti, bambini compresi.
“E’ un western atipico, sulla fine di un mondo e sul sogno di cambiare il corso degli eventi grazie alla voglia di riscatto di un popolo”.
La rivolta pacifica della costruzione della strada crea però problemi con il boss malavitoso che non vuole messo in discussione il suo potere. Garante dell’immobilismo, signoreggia nel territorio, e osteggia ovviamente “l’emancipazione” del paese. La decisione di collegare finalmente Africo al resto del mondo genera interesse nella stampa nazionale che è incuriosita da questo paesino e dalla sua realtà complessa e complicata. Ma, al pari del signorotto della ‘ndrangheta, la presa di posizione degli africoti infastidisce invece il sindaco, che vive verso il mare. Con l’aiuto dei Carabinieri il primo cittadino cerca di stroncare il gesto ritenuto “illegale”; Africo deve stare “fuori”, più lontano possibile dal mondo esterno. Ai margini del margine. Chi lo abbandona deve stare lontano, magari in Australia, e soprattutto non deve tornare. L’unica strada per Africo è quella del non ritorno.
I bambini simbolo del futuro in una realtà dal sapore passato
Il mondo esterno che entra in Africo è rappresentato dalla maestra elementare, in missione dal nord Italia, che decide di restare nel paese, a differenza delle colleghe che l’hanno preceduta, nonostante la sua classe sia dimezzata dall’abbandono scolastico perché i bambini sono costretti a lavorare nei campi. La maestra vuole insegnare l’italiano perché servirà loro una volta usciti dal paese, entrando nel mondo esterno.
I bambini, simbolo del futuro e della speranza, sono i veri protagonisti di questa storia. Sono loro che affiancano gli adulti contadini in una ribellione innocua. Vi è una scena che emana poesia: quando i bambini si passano di bocca in bocca la caramella donata dal cronista di città. La forza d’identità e di orgoglio è la gabbia per un intero nucleo abitativo.
Il ritorno alle origini di Calopresti
“Ho lasciato il mio paesino calabrese quando ero molto piccolo e ora ho necessità di tornare alle mie origini”, ha detto il regista, originario di Polistena e nastro d’argento. E a Polistena, in provincia di Reggio Calabria, ha regalato una rassegna “Premio Cultura Cinematografica Città di Polistena”.
“Quando ho cominciato a girare ero convinto di fare un film fuori dal tempo. Poi ho capito che Africo è la capitale del mondo, è oggi”.
Africo è l’Aspromonte che invoca il riscatto
Il film è stato girato a Ferruzzano, un paesino abbandonato in cui una casa costa 14 euro, ma Africo vecchia esiste veramente ed è stata patria della ‘ndrangheta. Distrutta da un’alluvione nel 1951, sono visibili i suoi ruderi, intorno al suggestivo Monastero di San Leo. Ha sempre vissuto come un paese abbandonato all’isolamento, senza riscatto. Solo oggi si sa che il paese poteva essere recuperato e non abbandonato.
Il borgo è simbolico. Rappresenta le ingiustizie, l’abbandono civile e umano.
“Africo è in Europa, e ci ricorda cosa, solo un secolo fa, poteva essere la nostra terra, ma in quanto sud assomiglia nei suoi sogni e nelle sue sconfitte, più che al nostro continente, a tutti i luoghi che vengono lasciati morire per poterne saccheggiare più comodamente le risorse naturali. Gli ultimi oggi sono tanti e hanno bisogno di esistere. Sono vivi, ancora presenti, ancora disperatamente alla ricerca di un futuro, alle porte dell’Europa”.
“Il Sud è da sempre luogo geografico e luogo dell’anima. Inferno e paradiso, cronaca e favola”, spiega il regista Mimmo Calopresti. “Così è questo film”.
Nella realtà, l’abbandono ha avuto la meglio e quella strada mai terminata poteva invece aiutare a tornare chi è partito da Africo. Il film e la storia di questo paese ci porta a riflettere su eventi più recenti, dove l’apertura verso il mondo è ancora ostacolata.
Riflettendo sul trasferimento della sua famiglia emigrata a Torino, Calopresti sottolinea: “Tutti noi siamo gli ultimi”.
E chissà se la storia dimenticata di Africo non serva a farci capire che gli errori passati non devono ripetersi.
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