«Israele è l’Europa come dovrebbe essere» (Tempi (.it))

di Emanuele Boffi, del 15 Maggio 2018

Giulio Meotti

Israele. L’ultimo stato europeo

Con la «lettera a un amico» di Boulem Sansal

Tutto è andato come previsto, purtroppo. Nel giorno del 70esimo anniversario della proclamazione dello Stato di Israele e nel giorno del trasferimento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, ci sono stati scontri nei Territori e morti lungo la barriera difensiva tra Gaza e lo stato ebraico. Il tutto, appunto, era quasi “scontato” che avvenisse, data la nota posizione di Hamas che da sempre «fomenta la popolazione alla lotta e che ha tutto l’interesse a non far trovare una soluzione».
Giulio Meotti, giornalista del Foglio ed esperto di Israele, commenta così quanto avvenuto ieri. ««È grave il bilancio di morti e feriti palestinesi, ma consiglierei di aspettare qualche giorno per capire l’identità di queste vittime. Non sarebbe la prima volta che, a distanza di qualche ora, si scopre che quelli che erano stati presentati come dei manifestanti, erano, in realtà, degli attivisti al soldo di Hamas».

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che la decisione di Donald Trump di spostare l’ambasciata a Gerusalemme è «storica e coraggiosa». Perché?
Perché ha messo in discussione cinquant’anni di status quo. Nessuno ha mai avuto il coraggio, o la follia, a seconda dei punti di vista, di concretizzare una decisione che era già stata presa oltre vent’anni fa. La mossa di Trump chiarisce che gli Stati Uniti riconoscono Gerusalemme capitale per una storia iniziata 4000 anni fa e arrivata fino ad oggi. Ma soprattutto la mossa di Trump è interessante perché ribalta il discorso: non una trattativa per portare a un riconoscimento, ma un riconoscimento per avviare una trattativa. Certamente il presidente Usa ha forzato la mano e sicuramente si aprono delle incognite sul futuro, ma almeno ha costretto i palestinesi a prendere una posizione, a smetterla di tergiversare.

Molti commentatori hanno però detto che questa mossa sancisce la fine del progetto “Due popoli, due Stati”.
Quella è una soluzione morta. Addirittura dovremmo parlare di tre attori sulla scena perché c’è una grande differenza tra la situazione di Gaza e la Cisgiordania. C’è un’Intifada contro gli israeliani, ma c’è un’Intifada anche fra palestinesi. I palestinesi della West Bank non vivono nelle stesse condizioni di quelli di Gaza. Chi vive oggi a Ramallah o Nablus, pur fra difficoltà, ha visto migliorare le proprie condizioni di vita a differenza di chi ha casa a Gaza. La prospettiva dei due popoli e due Stati a cosa ha portato finora? È una via lastricata di morti. Faccio anche notare che lo stesso mondo arabo che ha sempre “usato” il popolo palestinese a proprio cinico vantaggio, questa volta è stato assai più tiepido, quasi freddo.

Il mondo arabo freddo con i palestinesi, ma anche il mondo europeo s’è dimostrato freddo con gli israeliani. Solo quattro paesi europei (Austria, Ungheria, Romania e Repubblica Ceca) erano presenti alla cerimonia di inaugurazione dell’ambasciata Usa a Gerusalemme.
Non mi stupisco. Ormai il pregiudizio europeo verso Israele è incancrenito, non è più nemmeno una notizia. Lo è molto di più il coraggio dei quattro paesi citati, tra cui l’Ungheria il cui premier Orban – vero paradosso – è stato spesso accusato di essere fascista e antisemita. Diciamo la verità: ormai l’Europa è ininfluente rispetto ai destini di Israele.

Però un link ci deve essere, come suggerisce il suo ultimo libro: Israele. Ultimo Stato europeo (Rubbettino).
Il link c’è e dipende dal fatto che Israele è l’Europa come dovrebbe essere. Mentre negli ultimi settant’anni il Vecchio Continente ha vissuto una parabola in cui ha rinnegato la propria identità, ha perso smalto economico, ha visto avanzare l’inverno demografico, ha abbandonato la difesa dei propri confini, Israele ha compiuto il cammino inverso: è cresciuta economicamente, ha fatto figli, ha deciso di lottare per la propria terra e la propria difesa. Israele mostra all’Europa che si possa credere e difendere i valori occidentali anche in una situazione difficile e complicata in terra d’Oriente.

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