Non avrei scommesso neppure un euro sul fatto che Paolo Savona avrebbe accettato di entrare nel governo Lega-M5s, in un ministero diverso da quello dell’Economia, dopo che Sergio Mattarella lo aveva bocciato in base a un pregiudizio. Il carattere di Savona, come è noto, non è dei più malleabili, e la flessibilità politica non è mai stata una sua virtù. Come si spiega allora l’accettazione, da parte sua, dello spostamento al ministero per gli Affari europei? In attesa che lo stesso Savona risponda a questa domanda, vale la pena di rileggere alcuni passaggi della sua autobiografia, appena uscita («Come un incubo e come un sogno»; Rubbettino). Soprattutto le pagine 126-127.
«Nel corso di un convegno tenutosi a Bruxelles nel 2015», scrive Savona, «ho esposto le mie idee di quali fossero le modifiche da apportare all’architettura dell’Unione europea affinché si possa affermare che essa rispetta i patti che hanno indotto a firmarli e si configuri nei modi indicati da Lewis e Timbergen, come da molti altri». Di seguito, l’economista elenca le sue idee-proposte, che riassumo per sommi capi: creare una scuola europea di ogni ordine e grado per pervenire a una cultura comune dei 27 popoli europei che oggi parlano 24 lingue diverse; assegnare alla Bce le funzioni svolte dalla principali banche centrali del mondo per perseguire il duplice obiettivo della stabilità monetaria e della crescita (oggi l’unico obiettivo dichiarato è il primo, tramite il controllo dei prezzi, mentre la Fed Usa considera anche l’andamento dell’occupazione); attribuire al Parlamento europeo poteri legislativi (oggi inesistenti), tipici di uno Stato Federale, come gli Usa; conferire alla Commissione Ue il potere di iniziativa legislativa nelle materie indicate dall’articolo 3 del Trattato di Lisbona del 2007 (tra queste: pace, benessere dei popoli europei, sviluppo sostenibile, con stabilità dei prezzi, piena occupazione, moneta unica). Infine, sciogliere il Consiglio dei capi di Stato e di governo, che oggi è l’unico artefice e motore delle decisioni europee, un motore per forza di cose lento, condizionato dai risultati elettorali locali e, al dunque, succube dei paesi più forti (Germania e Francia), con una clausola ovvia: in attesa di tale scioglimento, lasciare al Consiglio, come unico potere, quello di vigilare sulle altre istituzioni europee.
In sostanza, idee-proposte per cambiare a fondo l’architettura Ue, e costruire un’Europa più forte e più equa, rispettosa delle regole democratiche, con le istituzioni di uno Stato di tipo federale. «La risposta che mi fu data da due direttori generali della Commissione», racconta Savona, «fu che si poteva anche discutere di questi punti, ma che il governo italiano (allora guidato da Matteo Renzi; ndr) non chiedeva queste cose, ma solo flessibilità nella fissazione del deficit di bilancio pubblico e nel rientro del debito dello Stato rispetto al pil. La mia risposta fu che neanche i vertici delle istituzioni europee le chiedono, anzi sostengono che così di debba fare e si possa andare avanti».
Ecco qui spiegato, secondo il mio modesto parere, perché Savona ha deciso di rientrare in gioco. Potendo rivestire i panni di ministro per gli Affari europei e rappresentare un governo con un indirizzo europeo diverso dal precedente, ora può tornare a Bruxelles, non già come invitato a un convegno, ma per spiegare da pari a pari ai leader degli altri paesi europei, Germania e Francia in testa, quali sono i cambiamenti in meglio da apportare all’impalcatura europea, per evitare che vada a pezzi per una serie di concause ormai note, rischiando di trascinare con sé anche l’euro e il benessere di milioni di persone. Per illustrare e sostenere queste idee non era necessario che fosse ministro dell’Economia, dove i conti disastrati dello Stato lo avrebbero impegnato in altre battaglie, e dove la Bce e la Banca d’Italia, insofferenti alle sue critiche, lo avrebbero boicottato in ogni modo.
È chiaro che le sue idee-proposte non sono quelle folli di un italiano scroccone, come pensano i media tedeschi, non sono il piccone demolitore di un euroscettico che vuole solo sfasciare tutto e uscire dall’euro, come purtroppo scrivono i giornaloni di casa nostra, ma un’impresa politica, alta e nobile, di un convinto europeista, nonché di un grande economista italiano di 82 anni. Un’impresa che, per essere realizzata appieno, richiederà anni, almeno una decina come si può desumere dal lento pede con cui sono stati applicati e verificati finora i trattati europei. Ma se Savona riuscirà a piantare questo seme nel cuore e nella mente degli europeisti di buona volontà, in Italia e nel resto d’Europa, battendosi come sa fare con l’energia intellettuale da «puer aeternus» (stupenda la definizione di Claudio Risé), potrà togliere dal suo prossimo saggio dedicato all’Europa la parola «incubo», e lasciare, con più fiducia, il «sogno» alle nuove generazioni.
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