Alberto Sordi sosteneva che fosse piuttosto semplice far ridere gli americani ma, nonostante l’apprezzamento che gli mostrò anche Hollywood, rifiutò sempre di lasciare l’Italia. Era convinto che un attore che conosce bene il proprio Paese così bene da interpretare in modo credibile pregi e difetti dei suoi abitanti non possa allontanarsene: “fuori” non sarebbe mai del tutto capito.
Alberto Sordi aveva la certezza che negli Stati Uniti non avrebbe mai funzionato. Eppure, nel 1997, due capitali del cinema come Los Angeles e San Francisco gli dedicarono una rassegna di 24 film dal titolo Welcome Alberto Sordi: Italy’s everyman che riscosse un grandissimo successo. Per gli organizzatori, nessuno avrebbe mai potuto rappresentare l’italiano medio meglio di lui, nel bene e nel male. Questo, in Italia, gli era già riconosciuto da tempo.
Tra il 1979 e il 1986, Rai 2 aveva già dato vita a un’iniziativa simile a quella statunitense con la trasmissione Storia di un italiano: all’interno del format si ritrovavano tutti i personaggi più significativi della carriera dell’attore romano. Sordi curò in prima persona il programma per presentare un ritratto dell’italiano in tutte le sue sfaccettature, ottenendo un buon riscontro di un pubblico che da sempre si è identificato nelle maschere portate in scena da Sordi.
Nel documentario Siamo tutti Alberto Sordi?, Michele Serra sottolinea il dubbio che ha accompagnato tutta la carriera dell’attore, definendolo “meravigliosamente ambiguo”. Secondo il giornalista “Non si capisce quanto ci fosse di denuncia e quanto di compiacimento in quei personaggi”. La verità è che Sordi non ha mai voluto denunciare o compiacere i connazionali che raccontava, ma si limitava a interpretare quello che vedeva, magari con qualche piccola esagerazione.
In un’intervista del 1976 per il programma radiofonico Il tagliacarte, Alberto Sordi ha spiegato che quei personaggi erano solo il naturale risultato del loro tempo e lui si limitava a restituirne una testimonianza cinematografica: “Ho provato a somigliare all’italiano medio. Con l’immediato Dopoguerra, proposi quel tipo di giovane e quella gioventù che si identificava nell’americano: Un americano a Roma ha rappresentato quella gioventù malata di americanismo che prendeva degli atteggiamenti innaturali. Poi l’italiano è cresciuto, è esploso il boom economico, tutti si sono fatti l’automobile: l’italiano ha iniziato a viaggiare, a uscire. Stando a contatto con un mondo che praticava altri costumi, che aveva altre abitudini, altre usanze. A quel punto sono nati Il diavolo, Fumo di Londra, Un italiano in America”.
Spesso, nella sua carriera, Sordi ha dato vita a figure ciniche e perdenti. Sempre l’attore ha raccontato direttamente al pubblico della trasmissione radiofonica Show downperché fosse tanto interessato a interpretare ruoli negativi. “Alberto Sordi è un attore. Io colgo tutti i tic, le nevrosi, tutte le parti negative della gente: voglio mostrare queste parti negative innanzitutto perché queste servono allo spettacolo umoristico/comico. Certo, un santo non fa ridere mentre un uomo che ha paura trova sempre il modo di divertire il pubblico. Ecco perché io rappresento le parti negative. E poi non è detto che la gente, se vede messo in ridicolo questo lato negativo, non possa emendarsi da esso. In questo modo, un piccolo contributo alla società lo do anche io”.
Nel lavoro dell’attore l’osservazione della realtà era spesso integrata dalla sua biografia e dal carattere. Come ricordava lo stesso Sordi, per lui era facile identificarsi nel Giovanni Vivaldi di Un borghese piccolo piccolo: stessa classe sociale, stessa età e stessa potenziale carriera. Eppure, osservando gli errori e le decisioni del protagonista del film, lo spettatore avrebbe forse capito che “Non ha senso accanirsi sugli altri, come fa il protagonista con l’assassino del figlio: la rabbia e la vendetta, l’occhio per occhio dente per dente, è inutile. Bisogna sapere amare e comprendere”.
Questo ruolo già maturo della sua carriera non è di sicuro l’unico a essere ancora forte e presente nell’immaginario degli italiani: il Sordi degli esordi che “magna il maccarone che l’ha provocato” in Un americano a Roma è forse l’immagine simbolo di una carriera in cui l’attore romano ha raccontato i suoi connazionali in ogni aspetto, ruolo dopo ruolo. L’arrampicatore sociale disposto a tutto de Il medico della mutua è un’altra faccia dell’italiano che cerca giustizia da solo per l’assenza dello Stato di Un borghese piccolo piccolo. Il giudice incorruttibile in una società dove tutti sono compromessi di Tutti dentro condivide lo stesso sguardo del bigotto conservatore interpretato ne Il moralista. La filmografia di “Albertone” è un alternarsi di figure positive “nonostante tutto”, come il militare eroe quasi senza volerlo de La grande guerra, e personaggi urtanti ma sempre realistici quali il trafficante d’armi per garantire alla famiglia una vita agiata di Finché c’è guerra c’è speranza.
Alcune maschere sono più attuali oggi di quanto non lo fossero quando esordirono nelle sale cinematografiche. Nel film del 1958 Domenica è sempre domenica, Sordi presta il volto a un ricco industriale disposto a tutto pur di apparire in televisione. In oltre 200 film e più o meno sessant’anni di carriera, come ha scritto il critico cinematografico Goffredo Fofi, “Alberto Sordi ci ha rappresentato per quello che siamo e che alcuni avrebbero preferito non essere”.
Forse è per questo che una parte del mondo intellettuale italiano ha sempre preferito prendere le distanze da Sordi, spesso confondendo l’indole dell’attore con quella dei suoi personaggi. Un atteggiamento snobistico ben riassunto nella celebre battuta “Te lo meriti, Alberto Sordi!”, recitata da Nanni Moretti in Ecce bombo. In realtà, gli italiani non se lo sono meritati questo artista che, nonostante tutto, amava visceralmente il suo Paese e i suoi connazionali. In un’intervista pubblicata postuma nel 2013, l’attore confessava al giornalista Giorgio Meletti che “Ti ho elencato un sacco di difetti degli italiani. Ma io voglio bene a questi italiani incapaci di governarsi da soli”.
Come ricorda nel libro Alberto Sordi segreto il nipote Igor Righetti, i suoi personaggi erano scomodi ma reali e questo gli valse in alcuni ambienti addirittura l’accusa di essere anti-italiano. In realtà, come scrive Righetti, la sua vasta produzione cinematografica rappresenta “una sorta di autobiografia dell’Italia” raccontata in una maniera molto italiana e per questo non comprensibile immediatamente a tutti. Aneddoto vuole che un critico francese, guardando un film di Sordi, chiese ai colleghi italiani: “Ma come è possibile ridere del Male?”.
Il regista Mario Monicelli sosteneva che Alberto Sordi fosse l’unico comico al mondo a divertire milioni di persone mettendo in scena personaggi negativi, con cui a volte cercava in tutti i modi di non essere sovrapposto. L’8 luglio 1994 dichiarò sulle pagine diRepubblica che “Non li ho amati neanche io, quei personaggi… Ma non capisco questa accusa: io, con quelli lì, non c’entro niente, non ho mai interpretato me stesso, tra me e loro c’è soltanto un rapporto breve, temporaneo. Faccio l’attore, io”.
Per diversi estimatori la grandezza di Sordi non si trova solo nella sua capacità di rispecchiare la realtà ma anche nel suo opposto: l’attore avrebbe sempre rappresentato un “iper-italiano”, un ritratto ultra realistico che si trasforma alla fine in una imitazione allucinata e ai limiti del disturbante. Come ha scritto il critico cinematografico Enrico Giacovelli, Sordi ha messo insieme “un’ineguagliabile galleria di ritratti di italiano medio, una commedia umana del Ventesimo secolo”. È difficile non essere d’accordo con lui o con il suo collega Fofi quando ci ricorda che “I suoi film sono parte essenziale di un passato che ci appartiene”.
Con la filmografia di Sordi e dei tanti registi che lo hanno scelto per interpretare il loro lavoro è possibile ricostruire, tra un sorriso venato di malinconia e un’amara presa di coscienza, la società italiana del secondo Novecento e trovare l’origine di tante caratteristiche di quella in cui viviamo oggi. A cento anni dalla sua nascita, Sordi è ancora uno degli interpreti più acuti dell’identità italiana, sempre capace di mantenere l’equilibrio molto delicato tra il mettere a nudo i nostri vizi in modo feroce e raccontare con onestà e senza compiacimento i pregi di un Paese che non ha mai smesso di amare, nonostante tutto.
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