Da Il Garantista del 19 agosto
«È un romanzo moderno: la presa di coscienza del disincanto. Il transito, sempre difficile, dalla fanciullezza all’età adulta. Vista con gli occhi di un figlio/padre, con le preoccupazioni da figlio/padre. Non c’è una strutturazione classica, un inizio, uno svolgimento e una fine, ma tutto è presente con i diversi elementi del romanzo costituiti da fatti che sono spesso iniziali o conseguenze di altri inizi, svolgimenti di eventi pre-formati e che danno esiti imprevedibili. Alla fine rimane una serie di domande sulla vita, l’identità, la famiglia, la felicità, l’amicizia, l’amore, il lavoro, i sentimenti, i sogni. Nessuna risposta preconfezionata; forse nessuna risposta affatto». “Sono finite le stelle cadenti” è il nuovo romanzo di Massimo Felice Nisticò, medico-chirurgo e narratore di successo, per Rubbettino Editore. Un viaggio, dentro il proprio passato e il proprio mondo interiore, nato dal dover affrontare la morte di un padre e la valanga di sentimenti contraddittori che si riversa d’impeto sul protagonista, Giancarlo Martelli.
Quanto è autobiografico il suo romanzo? Non mi riferisco tanto alle vicende narrate quanto ai percorsi interiori e alle riflessioni intrecciate ad esse.
Credo che l’io-narrante dia voce a percorsi psicologici o di formazione, come si dice in gergo, che appartengono a tutti. E mi sembra intuitivo che, proprio questo aspetto, supporti nel lettore l’impressione di accostarsi a una narrazione autobiografica, a quelle piccole cose dell’ordinario che passano spesso inosservate, quando invece sono proprio esse che intessono la trama della nostra esistenza. Il mio romanzo si proponeva di evidenziare questo “ordito” sul quale si è andata via via articolando la nostra vita e tutto ciò che siamo diventati. È come se avessi messo dei led luminosi sull’intelaiatura di ciò che nel tempo è poi divenuta la propria originale singola personalità di ciascuno.
Così il dato personale diviene universale.
Sì, si può dire che i percorsi interiori narrati nel romanzo appartengano a tutti, sono, per così dire, omni-biografici.
Come si arriva da scrittore e da uomo a questa affermazione sulla vita: “vale veramente tutta la pena che essa ci comporta o che noi ci diamo per lei?”
È la domanda fondamentale di tutto il romanzo. Riflettendo e guardandomi intorno con un minimo di onestà, mi è sembrato di intravedere una verità molto semplice: tutti quanti cerchiamo solo un poco di felicità, un minimo non negoziabile di esistenziale contentezza e soddisfazione. Allora mi sono chiesto da dove nasca, invece, l’insoddisfazione latente che pare ammorbi l’animo di molti: e credo, come si evince dal mio romanzo, che l’origine stia nella più ordinaria quotidianità o, ancora di più, nella “personale” quotidianità, nelle nostre radici, nel nucleo che ci ha visti “in formazione” e che ci ha dato perciò le motivazioni più intime a essere ciò che siamo. È questo che ho voluto raccontare: se si vuole essere felici, e magari non “vacuamente” felici ma più semplicemente solo realizzati, e non sprecare la propria esistenza, allora bisognerebbe “ricercare con convinzione e caparbietà” di essere se stessi senza sentirsi sotto esame, senza voler essere perfetti, senza considerarsi una delusione per i propri genitori solo per il fatto di essere diversi dal loro progetto di figlio. Per cui, alla domanda fondamentale del romanzo si trova risposta nelle pagine conclusive del libro: tutti abbiamo diritto a essere felici… così come siamo.
Di Maria Teresa D’Agostino
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