dalla Gazzetta di Parma del 26 Novembre
Un castello sull’Hudson, grande, di marmo bianco, con quattro torri merlate, sul punto più alto di Manhattan. E’ completato con le sue trenta stanze e tutte le rifiniture, il giardino d’inverno, le piante tropicali, le orchidee di ogni specie, il colonnato di trecento metri, i raffinati tappeti orientali, la sala banchetti, la palestra, le scuderie, la piscina olimpionica e, meraviglia delle meraviglie, uno stupendo organo a tre tastiere, nell’autunno del 1909. Quel giorno si avvera a New York City il primo sogno americano di Carlo Paterno, e anche la promessa da innamorato che egli ha fatto a Minnie, la nobildonna amante della musica e dei cavalli, dieci anni e dieci centimetri più di lui, ma davvero così bella da cambiargli la vita.
Una vita straordinaria, quella di Charles Vincent Paterno: cambiar nome e rinunciare all’accento è stato il prezzo da pagare per l’ingresso nel Nuovo Mondo partendo da una «piccola patria» fatta di storia, tradizioni, grandi risorse paesaggistiche, ma anche di isolamento, arretratezza e miseria.
Castelmezzano, provincia di Potenza, Basilicata, duemila anime nel borgo aggrappato a un picco delle Dolomiti lucane. Da qui nel 1885, quando Carlo ha nove anni, incomincia il lungo viaggio dei Paterno verso la «Merica». Toccante il racconto della tormentata navigazione dei nostri emigranti nella terza classe di quella carretta del mare sballottata dalle tempeste: un mese – un mese! – di sofferenze, di fame, di pianti, di preghiere. Pagine che fanno meditare su vicende analoghe che oggi, per altri versi, ci riguardano direttamente.
Trent’anni dopo quell’odissea, Charles Paterno, che nel 1899 si è laureato in medicina e alla morte del padre Giovanni ne ha ereditato il business immobiliare gettando definitivamente alle ortiche il camice, è uno dei più grandi costruttori di New York, tra i primi a tirar su i grattacieli, a creare le città giardino, a puntare sulle nuove tecnologie.
Offre non solo case, Paterno, ma nuovi stili di vita a decine di migliaia di newyorkesi. Autentico protagonista della vita cittadina, è amico del sindaco italo americano Fiorello la Guardia e di Giuseppe Prezzolini che insegna alla Columbia e dirige Casa Italia, alla quale Carlo regala una biblioteca di ventimila volumi. Nato povero, Paterno muore ricchissimo, in un attimo, sul campo da golf del più esclusivo circolo sportivo del Westchester. E’ il 30 maggio del 1946, festa dell’Ascensione.
Non è la prima volta che Renato Cantore, giornalista di Potenza, scrive sull’emigrazione lucana. In «La tigre e la Luna» raccontava di Rocco Petrone, figlio di emigranti giunti in America da Sasso di Castalda. Da bambino Rocco consegnava il ghiaccio a domicilio per aiutare la mamma, operaia in una fabbrica di guanti; da grande diventa direttore del Programma Apollo, quello che porterà dodici americani a esplorare la superficie lunare. Rocco Petrone e Carlo Paterno, due uomini passati alla storia. Ma l’emigrazione italiana ha tanti altri buoni sognatori che meritano di essere ricordati.
di Tito Stagno
Clicca qui per acquistare il volume al 15% di sconto
Altre Rassegne
- L'Osservatore Romano 2021.02.16
Montagne altissime in città
di Enrica Riera - Il Quotidiano del Sud 2017.06.05
Il lucano nel castello di New York
di Mimmo Logozzo - Gazzetta di Parma 2013.11.26
1885: destino chiamato America – Dalla Basilicata a New York, storia di emigrazione e sacrifici culminati con il successo
di Tito Stagno