Nel suo libro L’invenzione. Come nascono e si sviluppano le idee, Norbert Wiener spiega che se l’essere umano vuole sopravvivere, una parte del suo pensiero e delle sue strategie dovranno essere dedicati alle “imprese a lungo termine”.
Penso possa essere utile riprendere la riflessione sui capitali pazienti pubblicata qualche settimana addietro da Luca De Biase.
E vorrei farlo partendo da alcune intuizioni di Norbert Wiener contenute nel suo L’invenzione. Come nascono e si sviluppano le idee (Rubbettino 2022, 16 euro, pp. 192).
Per iniziare, scrive Wiener: “Voglio ribadire invece e ritengo anche di averlo dimostrato, in una certa misura che, se non si vuole svendere il destino dell’umanità, occorre affrontare i problemi a lungo termine con retroazioni a lungo termine di carattere sociale, ovvero, se si preferisce, con verifiche e correttivi”. E poi, ancora: “Nelle strategie nelle imprese di lungo termine permane si compiono atti a beneficio non tanto nostro, quanto dei nostri lontani discendenti, o di coloro che si troveranno al loro posto. Se la razza umana deve continuare a esistere, e io credo che pochi di noi siano completamente indifferenti al riguardo, una parte del nostro pensiero e delle nostre strategie deve essere dedicata alle imprese a lungo termine”.
Infine: “Come abbiamo visto più volte e più volte, la salvaguardia della fertilità del pensiero umano è un dovere fondamentale quanto la salvaguardia della fertilità del terreno. Entrambe le cose tornano a vantaggio delle generazioni future e possono essere realizzate soltanto da che si sente responsabile, se non nei confronti dell’Eterno quanto meno nei confronti di un futuro molto lontano. Una responsabilità siffatta non può essere, in alcun senso, assunta direttamente a vantaggio di coloro sui quali si ricade – e nemmeno di qualcuno di loro conoscenza o che si possa considerare strettamente imparentato -. A meno che non esistano e facciano parte della società alcune istituzioni – o quanto meno alcune modalità di comportamento che godano di una consolidata approvazione – che hanno a che fare con un futuro molto remoto, prendersi cura per periodi di tempo molto lunghi delle esigenze future della razza umana è qualcosa che ricade nella stessa misura su tutti, e quindi su nessuno”.
Queste affermazioni sono più che mai attuali oggi, in questo tempo singolare in cui l’umanità è chiamata ad affrontare (e vincere) sfide epocali di transizione in ambito ambientale, sociale e demografico.
Il richiamo ricorrente al bisogno di innovazione e sostenibilità, diventa sterile retorica se non è declinato in questa prospettiva. L’innovazione al servizio della massimizzazione dei profitti è un inganno e non è utile all’Umano.
Si dovrebbe dire di più: l’impresa e i capitali al servizio della massimizzazione dei profitti sono un inganno e non sono utili all’Umano.
C’è bisogno di innovazioni, imprese e capitali possibilisti. Dobbiamo impegnarci a essere buoni antenati delle generazioni che verranno.
Questa prospettiva è incompatibile con la cultura tecnologica, aziendale e finanziaria correnti, colpevolmente ripiegate sulla centralità dell’efficienza quantitativa.
Esse interpretano la “proprietà” come mero “ius utenti e abutendi” piuttosto che come “potestas procurandi et dispensandi” dimenticando una verità fondamentale: siamo tutti “custodi” e non “signori” del creato e di ogni bene ricevuto e a ciascuno di noi è affidata la responsabilità di metterlo a disposizione della più grande utilità comune.
Gratuitamente abbiamo avuto, gratuitamente dovremmo essere pronti a dare.
Ribadire il primato generativo dell’economia della condivisione e del dono è essenziale al fine di affrontare in maniera responsabile ed efficace le prove difficili dei nostri tempi.
Ci ricorda, sempre, Wiener: “Le ragioni del profitto possono essere importanti, ma le si deve integrare con altre ragioni. La società deve provvedere a un gruppo di ricercatori che non sia sottomesso alle ragioni del profitto nei confronti della società, né guidato interiormente da tali ragioni. Abbiamo bisogno di persone autonome e indipendenti nelle arti e nella scienza”.
In questa prospettiva appaiono profetiche le riflessioni di Benedetto XVI: “Vanno attentamente valutate le conseguenze sulle persone delle tendenze attuali verso un’economia del breve, talvolta brevissimo termine. Ciò richiede una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini, nonché una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni. Lo esige, in realtà, lo stato di salute ecologica del pianeta; soprattutto lo richiede la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo” (Caritas in veritate, n. 32).
È una sfida ardua e ambiziosa ma nel contempo decisiva e inderogabile, che ostinatamente viene rifiutata perché richiede una forte discontinuità/evoluzione paradigmatica, culturale e metodologica, in ambito aziendale, finanziario e pubblico.
È una impresa di lungo termine, che ha bisogno di lentezza e disponibilità.
È il percorso nel quale l’Harmonic Innovation Group è impegnato da molti anni e non senza difficoltà e incomprensioni, nel solco dell’innovazione armonica.