Saverio Strati

Tibi e Tàscia

Prefazione di Goffredo Fofi

C’è forse un altro romanzo italiano così fitto di dialoghi, così impastato di un presente diretto, di concreta quotidianità, di infantile (e dunque assoluta) verità? Ritorna Tibi e Tàscia di Saverio Strati, fitto di

C’è forse un altro romanzo italiano così fitto di dialoghi, così impastato di un presente diretto, di concreta quotidianità, di infantile (e dunque assoluta) verità? Ritorna Tibi e Tàscia di Saverio Strati, fitto di cose piccole e necessarie, uno dei più significativi romanzi del nostro Novecento e della letteratura che ha raccontato il mondo com’era, in particolare il mondo contadino. Quel che Tibi e Tàscia apprendono dell’esistenza – la natura e il lavoro, la terra e il paese, i simili e i diversi, i servi e i padroni, la fame e la festa, la prepotenza e l’amore, il femminile e il maschile – non è qualcosa che appartiene solo a loro, riguarda anche i loro coetanei e riguarda l’interezza dell’uomo, nello specifico dell’età del gioco e della scoperta. Ben pochi romanzi italiani sono paragonabili a questo, nella sua capacità di aprirci a un paesaggio completo e complesso, e però affrontato con la balda capacità dei bambini di farlo proprio, di acquisirlo ed esperirlo giorno per giorno, nel variare delle stagioni e nella costanza dei confronti. Questo «romanzo dell’infanzia» scritto da un giovane calabrese che ha potuto accedere agli studi (e all’emigrazione come scoperta e come possibilità) difficilmente chi oggi lo scopre potrà dimenticarlo. Questa scoperta sarà per lui qualcosa di più che la scoperta di un buon romanzo, bensì quella di uno dei più bei romanzi sull’infanzia che si conoscano, degno dei più grandi, ma con una sua diversità tutta nostra, tutta italiana.

Dalla prefazione di Goffredo Fofi

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