La Milano dei Fé
Appalti e opere pubbliche nel Settecento
Cartaceo
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La prima campagna politica di opere pubbliche di vasto respiro realizzata a Milano in età teresiana e giuseppina diventa, in questo saggio, la chiave di volta per analizzare il livello di efficienza raggiunto dal
La prima campagna politica di opere pubbliche di vasto respiro realizzata a Milano in età teresiana e giuseppina diventa, in questo saggio, la chiave di volta per analizzare il livello di efficienza raggiunto dal sistema d’appalto, una modalità di assegnazione dei lavori edili pubblici e privati a tutt’oggi prevalente, che in Lombardia conobbe una precocissima fortuna. Le vicende dell’impresa costruttrice dei Fé, appaltatori luganesi che per lunga parte del Settecento occuparono i vertici della professione edile e detennero il monopolio quasi assoluto dei maggiori interventi camerali sul territorio lombardo e di risistemazione urbanistica del capoluogo (teatro alla Scala di Milano, naviglio di Paderno), consentono di comprendere, sul piano istituzionale, quali furono le scelte e le finalità, formali e informali, del riformismo asburgico e, sul piano economico, i meccanismi di sviluppo del mercato edile, in un contesto amministrativo, economico e politico-sociale di grande interesse storiografico, perché di transizione, dall’antico regime alla modernità. La consultazione e l’intreccio di una vasta documentazione di origine amministrativa, dunque pubblica, e di origine notarile, cioè privata, dal XVII secolo all’età napoleonica, mette in luce quali furono le reti di relazione socio-economiche e politiche che consentirono alle imprese di emergere con successo ed all’ammistrazione di avvalersene con profitto; chi furono i protagonisti delle prime speculazioni edilizie di ampio respiro realizzate a Milano e quale il contesto culturale o affaristico in cui costoro (l’arciduca Ferdinando d’Asburgo, Greppi, Mellerio, il ceto negoziante) agirono; quale infine fu l’eredità del riformismo settecentesco nell’ambito della gestione delle opere pubbliche: eredità di cui si fece solitario portatore il direttore Antonio Cossoni, la cui opera razionalizzatrice venne assai apprezzata tanto dall’amministrazione napoleonica che da quella austriaca successiva.