La filosofia della Selbstbesinnung di Dilthey
Dalla fondazione psico-antropologica alla fondazione etica dell'individualità
Cartaceo
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Lungo una linea di ricerca, tesa a rimarcare il nesso stretto tra antropologia ed etica in Dilthey e il cui intento è mettere in luce il definitivo congedo, da parte di Dilthey, da ogni
Lungo una linea di ricerca, tesa a rimarcare il nesso stretto tra antropologia ed etica in Dilthey e il cui intento è mettere in luce il definitivo congedo, da parte di Dilthey, da ogni etica precettistica e formalistica sulla base del suo piano di fondazione di un’etica individuale e sociale di matrice anti-singolaristica e anti-utilitaristica, l’indagine vuole anzitutto mostrare come di fronte alla decostruzione del soggetto, dissolto in una miriade di atomi nel flusso corrente e inarrestabile della vita, Dilthey non prenda posizione né assumendo lo Übermensch d’ispirazione nietzschiana, né la figura dell’uomo drammaticamente nostalgico della totalità ormai irrimediabilmente frantumata, ma neanche lasciando assorbire l’individuo nella confortevole nicchia epistemologica, preparata e costruita intorno ad un soggetto logico, o all’interno della sfera di un anonimo Noi sociale oppure di un universalistico e universalizzante Geist di matrice idealistica. Fondamentale diventa allora far risaltare come etica e storia, nel loro nesso, lavorano e a loro volta contribuiscono a lavorare in conformità ad un diverso concetto di soggettività, che trova nella unità psicofisica e nelle sue disposizioni morali una individualità capace di universalizzarsi nella quotidiana oggettivazione morale e storica, ma senza venir meno a se stessa. In questo senso si pone al centro dell’attenzione come la scoperta bidimensionalità di questo soggetto fatto di carne e di sangue vada esattamente nella direzione opposta sia rispetto all’universalismo idealistico e positivistico, sia rispetto alle correnti che questo astratto universalismo avevano messo in crisi. L’universale, e qui sta il grande e ancora attualissimo insegnamento diltheyano, abita solamente nella capacità di universalizzare valori congeniali all’arricchimento e alla promozione tanto dell’esistenza individuale, quanto della vita comunitaria. Quella vita che non è un sordo meccanismo collettivo, dove l’individuo è e si avverte come gettato nella più assoluta anonimità, ma è espressione e oggettivazione etica, così come luogo d’incontro e di scontro di personalità che si formano e, in tanto possono formarsi, in quanto prendono coscienza della loro autonomia e lavorano al reciproco rispetto di sé come fini autonomi. Qui sta, se si vuole, il kantismo eterodosso di questa posizione etica, che il grande teorico della ragione storica aveva voluto costruire, continuando ad operare in direzione di quella dissoluzione dei fondamenti metafisici e ontologici del filosofare attuata dalla ragione critica kantiana.