Giuseppe Chiarini

Della filosofia leopardiana

Dialogo tra un filosofo giobertiano ed un razionalista Edizione, introduzione e commento di Raffaele Gaetano

Cartaceo
8,84 9,30

Di Giuseppe Chiarini il Pellizzari diceva che «avrebbe conseguito maggior fama e più varia estimazione se per lungo tempo non fosse stato conosciuto quasi esclusivamente come l’amico del Carducci».
Oggi come allora – eccezion fatta

Di Giuseppe Chiarini il Pellizzari diceva che «avrebbe conseguito maggior fama e più varia estimazione se per lungo tempo non fosse stato conosciuto quasi esclusivamente come l’amico del Carducci».
Oggi come allora – eccezion fatta per Sebastiano Timpanaro che, nell’amore per Leopardi e Giordani, ha saputo cogliere ed evidenziare «i più bei tratti della […] personalità così schietta e simpatica di Chiarini»- l’esperienza umana e letteraria del critico aretino soggiace a giudizi sommari e stereotipati, quando non del tutto ad una ingiusta damnatio memoriae.
In realtà Chiarini merita uno spazio autonomo nella cultura italiana del secondo Ottocento.
Questa edizione del dialogo Della filosofia leopardiana – che apparve per la prima volta all’interno delle Operette morali curate dal critico nel 1870 -, preceduta da un denso saggio e corredata di accurate note di commento, è volta a collocare Chiarini, dopo la giovanile parentesi classicista e antiromantica degli «Amici pedanti», nell’alveo dell’acceso dibattito tra positivisti e spiritualisti al quale senza enfasi il critico aretino partecipa con il suo connaturato «buon senso», riuscendo ad interpretare, della scuola storica, le istanze metodologicamente più feconde.
l’originalità primaria del dialogo consiste nel fatto che in esso Chiarini giunge con determinazione a sottrarre Leopardi allo stereotipo giobertiano di «poeta malinconico», assegnandogli il ruolo di geniale precursore di quel «Vulgarmaterialismus» ottocentesco che ebbe le sue figure più rappresentative in Büchner, Moleschott e Vogt.