Corpo e Architettura
o de humani fabrica
Cartaceo
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Entro l’architettura il corpo ha assunto, via via nei secoli, comportamenti sempre più distinti, da quello meccanizzato a quello assente, da quello, mistico, a quello materiale. Su di esso, l’architettura seguendo precise ideologie di
Entro l’architettura il corpo ha assunto, via via nei secoli, comportamenti sempre più distinti, da quello meccanizzato a quello assente, da quello, mistico, a quello materiale. Su di esso, l’architettura seguendo precise ideologie di comportamento, ha innalzato le sue mura posseni come castelli, o trasparenti come serre, avvolgenti come chiese, claustrofobiche come carceri oscure piranesiane. Il corpo è stato libero di muoversi entro la cosa architettonica o costretto in essa come recluso.
Il libro indaga del corpo alcune tematiche che hanno coinvolto nello specifico l’architettura o altre in genere tentando, fin dove possibile, di tracciare un suo possibile destino epocale.
I saggi, scritti in diversi periodi e qui riorganizzati tracciano, almeno per l’autore, una fisionomia, forse inconsueta, del corpo-architettonico, lavorando su tale simbiosi, in un corpo a corpo con ossessione. In un possibile futuro in cui l’oltre-umano… diverrà una realtà, forse per pochi ricchi che commerciareranno organi e intelligenze artificiali, un’architettura che insisterà nostalgicamente sul mito di una natura incorrotta e incontaminata diverrà solo un baluardo di resistenza. Vivremo tutti in ecosistemi artificiali, sopravviveremo in provette oppure in brandelli di pelle, cellule isolate si cloneranno in furuto abbandonando il mito animale della sopravvivenza della specie, relegata a computers potentissimi capaci di programmare l’esistenza di un nostro futuro subatomico. Il post-umano si sta traducendo in un non-umano. L’identità dell’uomo è, ormai, irrimediabilmente infranta. Gli “umani aumentati” si moltiplicheranno soprattutto in ambito militare. E l’esternazione degli organi florenskijana, sembra aver subito un’inversione. L’architettura essendo già protesi umana non può ulteriormente protesizzarsi, pena la tautologia. L’uomo non avrà più bisogno di esternare se stesso negli strumenti o nelle tecnologie avendo già in sè tutto ciò che gli occorre, essendo persino estraneo di sé, come vorrebbe Nancy, o già antiquato, come suggerisce Gunther Anders, ma in tale presunta autosufficienza si nasconde il limite e l’illimite dell’umano, o ciò che ne rimane.